Accorsi: «Azul, il mio inno all'amicizia amo l'energia del teatro»

Stefano Accorsi in "Azùl"in tour nei teatri del Veneto
L'INTERVISTA Il teatro gli è diventato indispensabile: la magia del contatto col pubblico, quell’energia che scorre tra palco e platea, quell’unicità...

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L'INTERVISTA

Il teatro gli è diventato indispensabile: la magia del contatto col pubblico, quell’energia che scorre tra palco e platea, quell’unicità del momento, così irripetibile sera dopo sera, città dopo città. Stefano Accorsi si gode “il momento”, «faccio il pieno di energia per un altro mese, fino alla fine del tour» e si prepara a salire sul palco del Toniolo di Mestre con “Azul- Gioia, Furia Fede y Eterno Amor” (dal 28 al 5 marzo, con incontro il 4 marzo alle 17, poi sarà l’8 al Sociale di Rovigo, il 9 al Salieri di Legnago, il 10 al Sociale di Cittadella e l’11 e 12 all’Accademico di Castelfranco: info myarteven) a fianco di Luciano Scarpa, Sasà Piedepalumbo e Luigi Sigillo, nella pièce scritta e diretta da Daniele Finzi Pasca, regista visionario “rapito” dai grandi eventi (dal Cirque du Soleil alle Cerimonie Olimpiche). Ed è stata proprio la voglia di misurarsi con Finzi Pasca ad attirare Accorsi: «Daniele è un grande autore e regista, un uomo di teatro al 100 per cento. Ha un’intelligenza incredibile data anche dalla grande curiosità con cui guarda il mondo e questo si riflette sulla sua poetica».

 

Dal “Furioso Orlando” e “Decamerone” con Marco Baliani a Finzi Pasca: cosa l’ha colpita?

«Quando ho letto il testo, ammetto che non era molto semplice. Ma quando ho incontrato Daniele ho capito tutto: nei suoi spettacoli può farci stare quello che vuole. C’è un che di clownesco che ti emoziona, ti stupisce, ti fa ridere. Sembra che stia parlando con te, si rivolge a te e ti regala emozioni. Per me è impagabile».

Dite che «la pasiòn azul ci salva». Cosa vuol dire?

«Siamo quattro persone calate in una grande storia di amicizia, con una passione condivisa, il calcio. Quattro cristi che, parlando di sé in modo immediato, tornano a essere tifosi in modo giocoso. Esce la parte infantile di tutti loro. Questo lavoro ti far venire voglia di riabbracciare i tuoi amici, c’è una grande umanità dentro».

E lei i suoi amici? Vi “raccontate” davvero?

«Noi uomini chiacchieriamo, sì, magari ci vuole un po’ più di tempo rispetto alle donne. Quando sei con un buon amico, gli dici se non tutto, ma quasi. Magari non gli dici cose che non confessi neppure a te stesso. Io per lo meno funziono così, ho bisogno di parlare, di confrontarmi. L’incontro con gli amici non è solo svago, ma è anche un momento di condivisione».

Lei ha detto che il teatro ha un compito sociale.

«Penso che il teatro, nella sua eccezione migliore, sia proprio il luogo della coscienza di una società. Sono posti immensi, con volumi giganteschi: vai lì e vedi un attore sul palco, col pubblico in sala che assiste a una cosa finta che si fa finta sia vera. Si piange, si ride, si pensa. Emozioni che poi ci si porta a casa come esperienza di vita. Per questo è importante, è un risveglio delle coscienze. Serve portare i ragazzi a vedere gli spettacoli giusti, può essere una chiave meravigliosa di trasmissione di un insegnamento, di valori, anche di condivisione fra genitori e figli».

E lei porta a teatro i suoi 4 figli?

«Certo: ci sono le cose adatte ai piccoli, ma col più grande, ultimamente, sono andato a vedere Checco Zalone. Ci fa troppo ridere. E poi è bello parlarne, discutere. Per me sarebbe anche importante che ci fossero corsi di teatro in tutte le scuole. È un esercizio basico, per dare voce alle emozioni, anche alle più semplici: urli, ridi piangi, canti, senza timore dello sguardo altrui. E’ come una vertigine».

Ormai il teatro per lei è un appuntamento fisso.

«Faccio fatica a stare senza: da “Furioso Orlando” non sono mai stato fermo un anno. Amo quella sensazione sul palco, è energia che passa tra te e le persone davanti: non è replicabile, è unica, ogni giorno è diverso, perché è diverso dal teatro e dalla città in cui sei, anche dall’orario in cui vai in scena. Cambia continuamente».

L’abbiamo appena visto in “Call my Agent” su Sky: un Accorsi iperattivo come la Huppert nella serie francese.

«È nato tutto dalla frase “da un’idea di Stefano Accorsi” usata per la serie “1992”, era un periodo in cui mi sentivo una pallina che rimbalzava da una parte all’altra, e poi è rimasta come un tormentone. Mi fa anche sorridere, e tutto sommato mi fa piacere, almeno si cambia frase, prima era “2 gusti is mel che one” (risata). Sul set mi sono divertito come un matto».

Si misura anche con Bryan Cranston in “Vostro Onore”, dove interpreta un giudice che deve salvare il figlio.

«Amo i veri antieroi, come Orlando che diventa una furia. Più sono senza macchia e senza paura più si infrangono quando cadono. E questo mi affascina molto».

E cosa la spaventa di più del suo mestiere?

«Non lo so. Mi piacerebbe molto lavorare con un regista come Bellocchio. Vorrei un confronto con un autore che porta la sua visione del mondo, il suo sguardo sul cinema. Mi affascinerebbe tantissimo: non dico che mi spaventa, ma sento che sarebbe una zona elettrizzante da esplorare».

 

 

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Il Gazzettino