Il teatro, per lui, è un scatola magica dove tutto è possibile: scatenare battaglie o tempeste, creare suspense, amplificare la tensione, spaventare. Tanto...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Perchè proprio Bram Stoker dopo Dostoveskij?
«Il progetto parte proprio da Dostoevskij: l’idea è di adattare dei classici per il teatro. Per me il teatro è un luogo di sperimentazione, mi piace l’idea di mettere le mani su un testo per trasformarlo, smembrarlo, ricrearlo. E anche di ritornare al lavorare con Luigi Lo Cascio».
Quale attrazione?
«Non mi interessa il brand Dracula. Mi piace invece la sua inquietudine sottesa. In Dracula c’è il sottosuolo, c’è la nostra parte oscura. Pur essendo sterminato e ampiamente saccheggiato, il romanzo offre diversissime letture. Il mio è un Dracula laico in cui ho letto sostanzialmente la metafora della malattia mortale che può colpire tutti terrorizzandoci. Il male assoluto».
E come ci è arrivato?
«Con la sceneggiatrice Carla Cavalluzzi ci siamo avventurati nel libro di Stoker, abbiamo rischiato di smarrici ma poi ne siamo venuti a capo. Il testo è molto affascinante: arriva prima dell’ingresso in scena di Freud e dell’inconscio. Parliamo di un’epoca rozza, in cui la paura era ancora fuori di noi: tutto quello che arrivava dall’esterno si affrontava con lo spiritismo, il mesmerismo, ipnotismo, illusionismo.... Si andava alla ricerca della chiave d’accesso ai mostri, alla zona oscura. Dracula era lo straniero, il pericolo. Ecco, volevo raccontare quello che c’era prima. Anche per interpretare quello che c’è adesso».
Qual è l’attualità di Dracula?
«Nel vedere come l’uomo affronta il mistero della malattia facendoci capire che fa parte della vita». Il teatro, per lei, è incantamento. «A mio avviso il teatro va tradito, altrimenti diventa spazio cristallizzato. Tradisco per renderlo contemporaneo. Ho cercato di portare in qualche modo il mio bagaglio cinematografico, la mia idea del ritmo, del montaggio, dei suoni. E mi piace che lo spettatore entri in questa scatola magica provando emozioni».
Lei spazia fra cinema e teatro, da attore e regista: faticoso?
«Ho cominciato con questa doppiezza da ragazzino. L’attore va da una parte e il regista dall’altra. Alla fine è una schizofrenia conclamata con cui convivo pacificamente. E’ abbastanza lacerante, ma ci faccio il callo».
Da regista cosa le piace di più?
«Credo poco all’idea dell’interprete neutro, penso che tutti gli attori siano un po’ autori, portatori della propria idea del mondo. Sin da ragazzo ho sempre sentito di interpretare sì personaggi, ma anche di raccontarmi attraverso le storie. Del mestiere di regista mi piace la possibilità di narrare, non tanto di avere il controllo: certo, devi sapere tutto, avere le idee chiare. L’attore sale su una motocicletta guidata da uno sconosciuto e non sa dove lo porterà. Quando guidi tu, devi sapere dove andare. E devi lavorare per potere convincere gli altri a fidarsi di te».
Lo Cascio si fida: avete alle spalle “Delitto e Castigo” e il film “Mio Cognato”.
«È un attore strepitoso, colto, fantastico, abbiamo molte cose in comune, veniamo dal Sud, entrambi abbiamo frequentato l’Accademia d’arte drammatica, amiamo i libri e la letteratura, cinema e teatro. Anche lui debutta con le sue regie. È il mio primattore. Ci siamo scelti». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino