Bugaro: «L'età? Una decisione. I 60 anni sono un momento di rivolta, anche contro di sè»

Lo scrittore padovano Romolo Bugaro
I ragazzi di 60 anni «non c’entrano con i sessant’anni». Anzi, non si sentono «quasi-anziani»: hanno abbastanza capelli, leggono ancora senza...

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I ragazzi di 60 anni «non c’entrano con i sessant’anni». Anzi, non si sentono «quasi-anziani»: hanno abbastanza capelli, leggono ancora senza occhiali, lavorano, vanno in scooter anche con 5 gradi sottozero, si tengono in forma, si sentono capaci di fare tutto, «saldamente dentro la vita anche se le ombre si stanno allungando». Dopo tutto l’età, per Romolo Bugaro, «è una decisione». E ognuno può scegliere «quanti anni avere, che tipo di vita condurre, come vestirsi, cosa fare». Una risata allegra, lo scrittore-avvocato e drammaturgo padovano, classe 1961, si mette in gioco con sguardo divertito, ma al tempo stesso con molta sincerità e malinconia, nel nuovo romanzo “I ragazzi di sessant’anni” (Einaudi), alla sua seconda ristampa a poco tempo dall’uscita. Un lavoro che riflette sul tema cruciale del “tempo”, inteso come specchio di sé, all’interno di un altro “tempo”, il nostro presente, in una terra che Bugaro continua spietatamente a vivisezionare sin dal potente “La buona e brava gente della nazione” del 1998. Una sorta di lungo romanzo sociale profondamente radicato in Veneto, in una Padova borghese dentro la quale le sue inquiete creature si ritrovano a «difendere con le unghie e con i denti una posizione che non potrà reggere, difendendola proprio perchè non reggerà».

Sono mondi che “non reggono”.

«Ci sono temi che ritornano e che mi interessano di più: il denaro che ci definisce e invade le nostre vite. Poi la terra cui sono molto legato: il Veneto, la mia città, le sue strade. E il cambiamento delle vite. Le nostre esistenze possono cambiare di colpo, ma noi non ci pensiamo mai. Nel libro ci sono due vite che cambiano all’improvviso: una tracolla, quella del notaio Spadaro, l’altra decolla, quella di Stefania, la ragazza di 50 anni».

Il personaggio “positivo” è femminile.

«Volevo un lieto fine. E volevo ci fosse una donna, uno sguardo a favore della resilienza femminile». Nel suo romanzo mostra molta compassione per tutte le età della vita, dalla ragazzina fragile di 15 anni al notaio che cade. «Si arriva a punto della vita in cui, salvo cose estreme e inaccettabili, non ti permetti di giudicare più nessuno. È un momento in cui senti con più forza il destino comune di tutte le persone. E questa nostra abitudine di pensarci “singolari” si smussa: capisci che tutti camminano lungo la stessa strada, e più lo senti, più ti senti vicino agli altri».

Si matura...

«Eppure sui 60 anni ci sono tantissimi luoghi comuni: si diventa riflessivi, saggi etc.. cavolate. In realtà i 60 anni spesso sono un’età di rivolta, anche contro se stessi. Fai i conti con le strade sbagliate che hai preso, diventando anche intransigente. Un’età di contraddizioni, in cui l’esperienza è maturata, sai come gira, ma hai voglia di cambiamento».

Si è raccontato con molta sincerità.

«Mi sono sentito poche volte così esposto, non è stato facile».

Perché un protagonista al plurale?

«È un personaggio-generazione, un personaggio-moltitudine che risponde alla mia stanchezza verso una scrittura sempre centrata sul singolo. Volevo cercare di esplorare avventurosamente altre strade: questo non è un personaggio che parla solo di se stesso, ma è rappresentativo di tanti. Vorrei lavorarci ancora».

Riflette anche sulla morte.

«Inevitabile. Con il passare degli anni, alla morte ci pensiamo di più tutti, lo scrive benissimo Antonio Franchini nel suo libro, «davanti alla morte siamo sospesi tra terrore e vaffanculo», per me questa è la chiave. A momenti sei più vicino all’uno o all’altro, ma questo è il pendolo. E il romanzo è anche il diario di un lentissimo avvicinamento alla morte».

L’età è allora una questione di punti di vista?

«Credo che ognuno di noi sia fermo a una età interiore. Io ad esempio mi sono fermato ai 15-16, c’è chi si ferma a 20, a 30, alcuni anche a 70 per tutta la vita. Ognuno di noi ha una propria età interiore che resta cristallizzata, solo specchiandoti nei tuoi coetanei vedi il cambiamento, ma l’età interna non si muove. È una sciocchezza pensare che gli anni passano, dentro di noi non passa un minuto, siamo fermi all’età originaria».

Ha detto che vuole ritornare a esplorare questo personaggio moltitudine: sta già pensando a un altro romanzo?

«Sì, anzi sono già al lavoro».

E come drammaturgo? Tornerà a collaborare con Alessandro Rossetto per teatro e cinema?

«Stiamo lavorando a un nuovo testo teatrale, sempre legato al tema del denaro e del contemporaneo, che poi Alessandro vorrebbe portare al cinema, proprio come è accaduto per “Una banca popolare”. Siamo in fase di produzione».

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Il Gazzettino