Rai, il bilancio dell'ad Sergio: «Calo ascolti? Fake news. Diamo voce alle donne»

L’ad in difesa dello share in Vigilanza: «Cresciuti di tre punti sulla concorrenza»

Rai, il bilancio dell'ad Sergio: «Calo ascolti? Fake news. Diamo voce alle donne»
La Rai ai tempi di Meloni che perde share? «Fake news». Il gender gap che ancora pesa sulla tv pubblica? Sempre meno, «daremo voce alle donne». Roberto...

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La Rai ai tempi di Meloni che perde share? «Fake news». Il gender gap che ancora pesa sulla tv pubblica? Sempre meno, «daremo voce alle donne». Roberto Sergio è un fiume in piena. E si toglie qualche sassolino, l’amministratore delegato della Rai, ascoltato in una lunga audizione in Commissione di Vigilanza, affiancato dal direttore generale Giampaolo Rossi. «In queste settimane sono circolate delle vere e proprie ‘fake news’», mette a verbale il numero uno di viale Mazzini. 

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Un mese fa, a scanso di equivoci, Sergio aveva fatto assemblare in un documento Pdf la lista di “fake” che a suo dire circolano sulla tv pubblica. Fra queste la perdita di uno storico primato: quello dei canali generalisti Rai a fronte del loro concorrente numero uno, Mediaset. Nulla di vero, ha assicurato ieri snocciolando i numeri in commissione. «Rai Uno, Rai Due e Rai Tre nel periodo autunnale (1° ottobre - 16 dicembre) stanno totalizzando una share complessiva pari a oltre 3 punti in più rispetto ai comparabili tre canali generalisti dei competitor», spiega. Aggiungendo che quel gap sale a 5 punti percentuali se si confrontano le prime serate fra tv rivali. 

Rai, il bilancio dell'ad Sergio

Insomma, se è vero che sui canali tematici - dati Auditel alla mano - la concorrenza del Biscione si fa sentire, sui generalisti il primato della Rai meloniana c’è e resiste, assicura la dirigenza. Chiamata a fare una radiografia del servizio pubblico in Parlamento in giornate caldissime per il dibattito Rai. Da un lato l’attesa per Sanremo e il fiato sospeso, da Meloni in giù, per le sorprese (si spera poche, a Palazzo Chigi) che riserverà l’Amadeus-quater all’Ariston. Dall’altro l’eterna querelle sul canone Rai. Sergio conferma che la tassa sarà ridotta «da 90 a 70 euro» nel 2024, come annunciato dal governo che comunque ha rassicurato la Rai stanziando fondi in manovra per colmare il gap di entrate. In mezzo le polemiche che tornano ad accendersi sotto Natale. 


Con le opposizioni in trincea a difesa del «pluralismo» della Rai per il caso “Domenica in”, cioè la puntata del 19 novembre in cui a commentare il femminicidio di Giulia Cecchettin, in studio, sono state chiamate due parlamentari di centrodestra (Dalla Chiesa e Matone), e basta. A Montecitorio l’Ad rassicura e rilancia. «Il giornalismo d’inchiesta è un pilastro nell’ambito dell’informazione e della nostra responsabilità». Segue lista dei programmi che, Sergio ne è convinto, difendono il pluralismo Rai senza fare sconti a nessuno. Report in testa. E poi Presa diretta, Mi manda Rai Tre, Chi l’ha visto e via dicendo. Insieme alle inchieste la nuova Rai punterà sull’approfondimento. Partendo, spiega Sergio, dal grande tema della violenza sulle donne e del gender gap che spesso ne è anticamera. «La parità di genere è un pilastro dell’inclusività. Dando voce alle donne e affrontando il gender gap, i media pubblici si ergono come un faro di equità», dice Sergio in Vigilanza anticipando un concerto in prima serata su Rai 2 a maggio, dall’Arena di Verona, per raccogliere fondi per i centri antiviolenza. 


I CONTI
C’è spazio per uno sguardo ai conti Rai e anche qui i numeri sorridono alla tolda di comando che da sei mesi guida la tv pubblica, così sostiene Sergio. «L’indebitamento finanziario netto del Gruppo era previsto a fine anno in 650 milioni di euro. Chiuderemo invece il 2023 a 560 milioni, risultato raggiunto grazie a interventi gestionali e alla crescita dei ricavi pubblicitari». Tagli a Rai Cultura? Se ne è parlato molto, ma è un’altra «fake news», giura l’ad, «è stato solo richiesto un saving sui costi di funzionamento».


Avanti dunque con il piano industriale, «l’offerta Rai porterà a un aumento degli introiti pubblicitari» prevede Sergio spiegando che i 90 milioni di riduzione del debito annunciati da Viale Mazzini «altro non sono che pubblicità e una serie di costi non editoriali ma gestionali che sono stati ridotti». Quanto al nuovo piano immobiliare, che taglierà costi e inefficienze con una riorganizzazione dei poli di produzione a Roma, Torino e Milano, resta la garanzia di non ridurre il peso e la forza degli studi Rai nella Capitale, anzi: «il piano rafforzerà la Rai, a partire da Roma, la sede di Viale Mazzini e il Centro di Produzione Biagio Agnes. 
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Il Gazzettino