VENEZIA - Soldati come zombi, letteralmente morti viventi in transito su quel che resta della loro umanità: lo scenario non è nuovo al cinema bellico, ma se a metterlo in...
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Tra i film più attesi del Concorso di Venezia 71, "Nobi - Fuochi sulla pianura" è infatti la cronaca del ritorno a casa di un soldato giapponese, lasciato nelle retrovie dal suo plotone in ritirata, perché malato di tubercolosi. Se la storia suona già sentita è perché il film è tratto dal romanzo scritto nel 1951 da Shohei Ooka e già portato sullo schermo da Kon Ichikawa nel 1959 con un film omonimo che andò a Locarno a vincere e che fece in suo percorso nelle sale occidentali con successo. Tsukamoto ne fa un oggetto pienamente in linea con il suo cinema, nato con le stimmate "cyber punk" della serie "Tetsuo" e continuato in una dimensione sempre più incisa nel tessuto stesso della metamorfosi in atto tra dimensione fisica, psicologica e materica dell'uomo.
Se Nobi è dunque un classico film bellico, destinato ad implodere sui luoghi della violenza disumana e disumanizzante della guerra, in un letterale macello di carne umana e di umanità prostrata nell'istinto di sopravvivenza, va anche detto che per Tsukamoto si tratta anche dell'occasione per ridefinire una volta di più il rapporto tra la dimensione fisica e quella mentale della realtà umana.
Il Gazzettino