Il film ha lasciato più che perplessa la critica, ma la scommessa della Sala Giardino è vinta. La nuova struttura più "popolare" era gremita, ieri...
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Sono passati 17 anni da “Come te nessuno mai”, ma per Gabriele Muccino la scuola e gli esami di maturità non sono ancora finiti. Cambia il contesto, lì siamo nel post-post Sessantotto, qui in un mondo in cui il passaggio all’età adulta avviene nella presa d’atto che ci si può innamorare sia della più inappetibile compagna di banco come del bel gay italo-americano. Naturalmente, ben fuori dalle porte di Roma e cioè sul Golden Gate, al di là dell’Oceano, dove tutto può accadere complice Alitalia (ben visibile, chissà perché…). Non è l’ultimo bacio, ma sembra essere il primo per Marco e Maria: il primo, timido e introverso, la seconda “suorina” perbene che dalla camicine inamidate di mammà passa di colpo, e non si capisce come, a strusciarsi lascivamente nei locali trasgressivi di San Francisco.
Se c’è un limite alla plausibilità nella narrazione cinematografica, oltre al quale lo spettatore non crede più a quello che vede e nemmeno si emoziona, Muccino lo supera sperando che nessuno se ne accorga: un viaggio non di formazione, ma di improbabili scritture di sceneggiatura. Eppure, pare non sia molto lontano da ciò che possa accadere: “Sono partito da una storia: la mia estate di maturità, anno 1991, un viaggio negli Usa – racconta – Da quando faccio il regista ho sempre voluto narrare quella vacanza, in un’età che ancora non conosce tormenti, senza mezze misure”.
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Il Gazzettino