BASSANO DEL GRAPPA - Di padre in figlia avrà probabilmente un seguito. Dopo le indiscrezioni apparse su Facebook, fanno ben sperare le poche parole di Alessio Boni che,...
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Boni, come è nato il lavoro sulla Merini?
«Da 27 anni coltivo con Marcello Prayer un lavoro sulla coralità, frutto degli insegnamenti di Orazio Costa Giovangigli. Il maestro ci faceva recitare in coro alcune parti perché potessimo trarre energia dalle persone accanto a noi e poi, quando era il momento di recitare da soli, ti scoprivi più potente grazie all'energia del gruppo. Quando facciamo Alda Merini non è un reading, ma è un concertato a due. Prima della Merini abbiamo lavorato in questo modo su Pavese e Pasolini. Insomma ci piacevano i disadattati capaci di grande lirismo».
In questo lavoro date voce a un'anima femminile...
«Siamo due uomini, ma proprio perché non è una lettura scenica il distacco non c'è. In questo concertato, Marcello e io jazziamo per distillare la grandezza della poesia della Merini, con i suoi 46 elettroshock. Vorremmo eclissarci, perché per noi è come un concerto, nel quale deve uscire il suono e non l'interprete».
Dunque un concerto di parole?
«Le parole hanno un suono che vibra. La nostra dualità in scena cerca si creare uno straniamento e di rivelare al pubblico schegge di pensiero».
Qual è la relazione tra questi concertati e le produzioni di compagnia?
«Sono lavori che nascono da una urgenza diversa. Con il gruppo portiamo in scena soprattutto adattamenti drammaturgici di romanzi. Questo perché ci sono testi teatrali meravigliosi, ma come fai a cambiare Molière o Shakespeare? Invece su un romanzo puoi lavorare e aggiungere del tuo, c'è maggiore libertà. E poi ci interessa far scoprire la grandezza di libri spesso conosciuti solo come titoli».
C'è un intento didattico?
«Forse. E in ogni caso se al bar si arriva a parlare dell'uomo e del sentire umano, oltre che di tasse e calcio, questo ci basta».
Il teatro supplisce la scuola?
«Forse sì, anche se sarebbe supponente. Certo è difficile che i giovani raggiungano il teatro, ma quando accade la grandezza delle parole li conquista. Pensiamo a Benigni: ha spiegato Dante in modo sublime e poi l'ha letto creando un'empatia straordinaria che supera i secoli».
Un processo difficile al cinema?
«C'è un cordone ombelicale tra pubblico e attore. Il cinema può raggiungere lo stesso effetto, ma è soprattutto la regia a segnare le scelte e a capire l'anima di chi guarda. Il teatro è dell'attore, cambia ogni sera e si adatta. In teatro si sta come i trapezisti, ma senza rete...».
Nuovi progetti in vista?
«Una nuova messinscena da un romanzo. Intanto il 26 ottobre esce al cinema La ragazza nella nebbia' di Donato Carrisi e la prossima estate arriva lo sceneggiato La strada di casa' su Raiuno».
Come è stata l'esperienza della fiction a Bassano?
«Abbiamo lavorato in stato di grazia. La comunità ci ha accolti, ha fatto di tutto per sostenerci e per far uscire un orgoglio di città. È stato un po' come quando facevano il cinema negli anni Cinquanta e Sessanta, coinvolgendo l'intera comunità locale. Quattro mesi di lavoro in un luogo sono tanti e viverli così è stato bello. Vedrai che torneremo...». Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino