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Un boss potentissimo e spietato, con un occhio al Padrino («ma è solo un riferimento, la presenza e lo sguardo sono tutti miei») e il cuore al miglior cinema “crime”: Claudio Amendola torna in tv protagonista e regista della serie Il Patriarca, in onda in 6 prime serate su Canale 5 dal 14 aprile.
Il suo personaggio, Nemo Bandera, è un imprenditore del settore ittico che, dietro la facciata rispettabile, gestisce un colossale narcotraffico in un immaginario paese del Meridione. E quando il medico gli diagnostica un inizio di Alzheimer, decide di “ripulire” i suoi affari e scegliere un successore all’interno della propria, avidissima famiglia. Tra sparatorie, sangue, passioni proibite, tradimenti e colpi di scena, le cose saranno tutt’altro che facili. Amendola, 60 anni, 3 figli e due nipoti, un avviatissimo ristorante al centro di Roma, giura che la serie si è rivelata una sfida entusiasmante.
Perché?
«Mi è piaciuto interpretare un personaggio feroce che, all’improvviso, scopre di essere fragile e fa di tutto per riportare la famiglia nella legalità. Anche se il suo mondo lo tira sempre dentro, vorrebbe riparare al male fatto».
Anche lei, con l’età, è diventato più buono?
«Più buono no, ma mi commuovo spesso. Piangere sul set non mi richiede più sforzi».
Per che cosa si commuove?
«Mi basta pensare che i miei figli possano stare male».
Compiere i 60 è stato uno choc?
«No, la vera botta l’ho avuta a 50. Sono soddisfatto della mia età, del percorso che ho fatto».
Di cosa va più fiero?
«Di aver fatto il mio mestiere con serietà, abnegazione, rispetto degli altri.
Le è costato molto rivelare in tv, al programma “Belve”, di essere stato in passato dipendente dalla cocaina?
«No, non mi è costato affatto perché sono fiero di essermi liberato di quella me... Uscire dalla dipendenza è stato un percorso violento e breve, ci sono riuscito pensando ai miei figli. E a loro non ho mai nascosto nulla».
Un suo difetto con cui ha fatto pace?
«La mia proverbiale pigrizia. Quando non lavoro, a parte il bridge, non ho voglia di fare nulla. Ma non mi sembra un peccato mortale, mi accetto come sono».
La soddisfazione più grande?
«L’altro giorno, per i suoi 24 anni, mio figlio Rocco mi ha invitato a pranzo con gli amici del cuore. E ho scoperto che tutti mi considerano una persona di cui fidarsi».
Non appartenere ai giri cinematografici che contano l’ha penalizzata?
«Sul lavoro no, ma a parte il David come non protagonista vinto nel 1992 per il film Un’altra vita, non ho mai avuto premi. Ma non me ne frega niente, è andata benissimo così».
E la sua amata Magica come va?
«Sono un romanista contento. Lo stadio è pieno, sento l’entusiasmo, la squadra fa il suo. L’avventura in Coppa Europa League ci dà molte speranze. Mi piace Mourinho, il suo carisma, il modo in cui protegge i tifosi e la Roma».
Parlando invece di Roma, la sua città?
«Non potrei vivere in nessun altro posto del mondo e quando parto sento subito il bisogno di tornare. Ho apprezzato il sindaco Gualtieri che ha difeso le famiglie arcobaleno, per un po’ ho dimenticato le buche, i cinghiali, il degrado».
Che sfida le manca?
«Per anni ho desiderato lavorare con Gabriele Salvatores e gliel’ho fatto sapere in tutti i modi. Ma lui niente, non mi ha mai filato. E ora non me ne frega più niente, può anche chiamarmi. Il mio sogno è un altro: fare un western».
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Il Gazzettino