I miei primi ricordi di Bernardo Bertolucci risalgono alla giovinezza, quando facevo il proiezionista a Bagheria, la mia città. All'epoca scoprii i suoi film che...
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IN DIVISA
La memoria mi porta poi a Roma, dove nel 1976 sbarcai per fare il servizio militare: in divisa di trasmettitore, fui tra i primi spettatori al primo spettacolo di Novecento, al cinema Ambassade. Quel film rimane tuttora una grande opera storica, non solo cinematografica, e testimonia l'amore del regista, innamorato della Nouvelle Vague e acclamato all'estero, per il suo Paese. Arrivano, questi miei ricordi di Bernardo, agli ultimi mesi: ero a Bari ad aprile, quando presentò Ultimo tango restaurato, poi ho assistito con lui a Roma alla proiezione di Novecento tornato a nuova vita. In uno dei nostri ultimi incontri mi rivelò di essersi rimesso al lavoro e cercò di cooptarmi nel circolo dei fan delle serie tv che amava tanto. Lasciai casa sua con un certo senso di colpa perché non conoscevo tutti i titoli di cui mi aveva entusiasticamente parlato. Ci mandavamo saluti per mezzo di amici comuni, Mario Cotone soprattutto, e qualche volta ci sentivamo. Mi aveva espresso solidarietà quando fui costretto a sforbiciare La leggenda del pianista sull'oceano per il mercato americano. «Capisco il tuo stato d'animo, a me è successo con Novecento, non addolorarti», mi scrisse. Era come un parente più grande pronto a condividere le sue esperienze, fatte prima di te e meglio di te. Una volta mi chiese d'inviargli il dvd del mio film La migliore offerta e poi mi inviò un biglietto affettuoso. Si fece intervistare per il documentario su Ennio Morricone. Ricordo il suo sorriso irriverente e il suo sguardo colto. Il suo stile ha influenzato molti di noi e continuerà a farlo sempre.
Ma il ricordo più divertente di Bernardo è legato a un'idea venuta al produttore Mario Spedaletti: un film a episodi che doveva essere diretto da Bernardo, Ettore Scola e me. Noi tre ci incontrammo, buttammo giù qualche proposta per il puro piacere di stare insieme, consapevoli che non se ne sarebbe fatto nulla. In uno di questi incontri, chiesi a Bertolucci come mai, dopo più di un secolo, la gente del cinema non fosse riuscita a far comprendere al pubblico cosa fosse veramente il linguaggio del film. E lui mi rispose: «Forse perché non lo abbiamo capito nemmeno noi».
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Il Gazzettino