Segre al festival di Locarno con un docufilm sul Kazakistan

Segre al festival di Locarno con un docufilm sul Kazakistan
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PADOVA - Non avesse fatto il regista, il padovano Andrea Segre, tra i più apprezzati documentaristi italiani (con due film anche di fiction, soprattutto il pluripremiato "Io sono Li"), per un cinema spesso così poco italiano, sarebbe stato un ottimo viaggiatore, esploratore curioso e appassionato di mondi e culture diverse, cercando di scoprire quali convergenze possano sussistere con la nostra esperienza, che è l’aspetto che più interessa al regista.


Lasciata la Grecia e il rebetiko (racconto filmico del 2013 mai così tempestivo, con la grande crisi ellenica già strisciante), lo scorso novembre Segre è volato nelle steppe kazake, in un Paese che sta vivendo l’euforia di una industrializzazione (estrazione di petrolio e gas) con un benessere assai simile agli anni ’50-’60 italiani, quelli del boom economico. Il film, che si intitola "I sogni del lago salato" (che altri non è che il Mar Caspio) passa domani pomeriggio al festival di Locarno, aperto ieri sera.

Dunque il Kazakistan di oggi come l’Italia ai tempi dell’Eni di Mattei: «Sì, ma non è questo che mi ha spinto principalmente a fare il viaggio. In realtà questo nuovo film è nato un po’ al contrario di altri miei documentari. Non sono andato per verificare sul luogo una notizia, ma per scoprire, capire quel luogo che si faceva film, come avviene, un po’ nei lavori di Herzog per capirci, che non avrei potuto intendere restando qui», spiega Segre.

Un’esperienza fortissima, quindi: «Senz’altro la mia più profonda. Andando incontro all’altro, impari a conoscerlo ma anche a scoprire pezzi della tua cultura che sono connessi. Perché qui vivono un presente che è un nostro vecchio passato, solo che noi abbiamo anche l’esperienza del futuro, perché sappiamo quali dubbi, illusioni poi tutto quel boom ha prodotto, domande a cui noi abbiamo dato nel tempo risposte e che qui non possono ancora avere».

Girato tra le steppe antiche e la modernissima capitale Astana («Un’osservazione antropologica e cinematograficamente entusiasmante. un incrocio estetico tra i grandi spazzi e l’urbanistica post sovietica», sottolinea il regista), il film è costruito coniugando questo parallelo storico: «Una circostanza abbastanza rara per un documentarista, approfondire quello che i lavori italiani di allora, De Seta in primis, non potevano porsi».

Un viaggio quindi molto desiderato: «Era da tempo che volevo andare in Kazakistan. E il parallelo narrato con i filmati d’epoca, ma anche con i super 8 dei miei genitori in laguna o quelli di mio cugino Alberto, con Marghera che allora stava diventando un polo industriale fondamentale, creano una struttura che ci permette di fare confronti e stimolare somiglianze dove sembrerebbero non esistere. E incontrare e dialogare con i pastori e la gente più semplice, con tutte le difficoltà incontrate, anche a parlare di temi scottanti in un Paese non abituato a farlo, è stata un’esperienza notevole. E spero si noti nel film».

Prodotto da Ambleto e Rai Cinema in collaborazione anche con la padovana Jole film (e il progetto "Fuori rotta"), conferma lo sguardo di Segre, sempre attento ai fenomeni di incontro/scontro tra culture, anche in chiave politica: «Non ci penso se sono visto come un regista molto o poco italiano. Il mio rapporto con il cinema è raccontare tale incontri/scontri in modo non convenzionale. La sfida di oggi è rileggere le realtà con le contaminazioni in atto, dove il rischio è quello di chiudersi troppo nelle proprie o di disperderle in una visione iperglobale che cancella le radici. Pur diverso ad esempio di "Mare chiuso", anche in questo film si sovrappone lo sguardo cinematografico con quello politico, perché: che succede quando finiscono i "sogni"?».


"I sogni del lago salato" dopo Locarno, sarà anche il film evento di chiusura di "Venice days" alla Mostra di Venezia. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino