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C’è la sensazione che ogni anno ci si ritrovi a dire un po’ le stesse cose, ad avere le medesime sensazioni, a placare la curiosità, guardando e riguardando un programma che gronda titoli e nomi cercando una sintesi immediata, che è spesso scomposta e inefficace. C’è la sensazione che i pregi siano diversi, come da parecchio tempo a questa parte, e che i difetti degli anni precedenti restino tali, a cominciare da una Mostra che privilegia sempre uno sguardo molto occidentale, con vaste zone del mondo poco rappresentate o perfino dimenticate (dall’Asia solo 3 film, Sudamerica in pillole, Africa peggio eccetera), anche se poi ci sono 56 Paesi presenti, compresi Uganda e Kirghizistan, ma Italia (com’è ovvio), Francia e Stati Uniti hanno quasi una “maggioranza bulgara” di presenze.
Però è una buona Mostra. Non sono pochi i motivi di interesse e anche se manca forse uno di quei film che avrebbero fatto sobbalzare chiunque (Scorsese, Chazelle, ancora in lavorazione, ma soprattutto Spielberg, che invece ha preferito andarsene a Toronto, forse il grande rimpianto di quest’anno), ciò che attende i nostri occhi dal 31 agosto al 10 settembre è di qualità e quantità più che apprezzabile. La Mostra si conferma terreno privilegiato per una convivenza tra produzione classica e piattaforme, osteggiate altrove, con una presenza di Netflix, Amazon e compagnia nella giusta misura e rispettabilità, al pari di un’alternanza tra divismo e cinefilia altrettanto corretta e valida. Le star non mancano, i registi nemmeno. I fan del red carpet potranno elettrizzarsi: magari non tutti saranno presenti, ma la squadra è da Champions League. Non meno nutrita quella apprezzata dai fan della sala a ogni ora, pronti a chiudersi al buio per l’intera giornata.
Certo la presenza italiana è massiccia, diciamo ingombrante, ma non è l’unica, in modo da non essere tacciati prepotentemente di sciovinismo, come accade invece spesso a Cannes (anche perché come detto, la Francia trova sistemazione ragguardevole anch’essa, al pari degli States). Dei 23 film in Concorso (diciamo troppi anche qui, nonostante Barbera ci abbia illuso tempo fa con dichiarazioni su una gara snella), 5 sono italiani, come l’anno scorso, che fu però un’annata davvero notevole. Ne parliamo dettagliatamente a parte, ma certo le attese maggiori vanno a Guadagnino, mentre su Amelio, Pallaoro, Crialese e Nicchiarelli, tra ritorni e giovani conferme, ci si potrebbe regalare qualche sorpresa. Poi ci penserà la giuria guidata da Julianne Moore a scatenare applausi o disapprovazioni al momento del verdetto finale.
Vedremo se Orizzonti, che sarà aperto dall’opera seconda di Valerio De Paolis (quello di “Cuori puri”) consoliderà la sua vocazione a essere terreno di ricerca, in verità spesso più alla carta che sulla reale prova dello schermo; vedremo anche se Biennale College, che quest’anno festeggia il suo decimo anniversario, si confermerà un laboratorio efficace nella funzione produttiva di una Biennale; vedremo infine al Lazzaretto la ripartenza della Virtual reality, che qui a Venezia ha trovato la sua prima dimora internazionale e che da quest’anno sarà una sezione anche nel nome “immersiva”, non può che fare piacere.
Siamo alla Mostra numero 79, al suo novantesimo anno di vita: una giovane anziana che ha saputo nel tempo cambiare più volte pelle, conoscendo periodi di grande mestizia e rinascite esplosive, spesso punto di riferimento della cinematografia mondiale, luogo di divismo assoluto, spazio imprescindibile per chi il cinema lo fa, lo vive, lo ama.
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