Venezia 79, giorno 9. Blonde on Blonde, Marilyn & Marilyn: Dominik divide

Venezia 79, giorno 9. Blonde on Blonde, Marilyn & Marilyn: Dominik divide
Nel giorno di Marilyn il resto rischia di rimanere in ombra. Ma com’era prevedibile la star più star di...

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Nel giorno di Marilyn il resto rischia di rimanere in ombra. Ma com’era prevedibile la star più star di Hollywood, la diva intramontabile ed eterna, la “candela nel vento” di Elton John, rimane un corpo ingombrante per il cinema. E il film, in Concorso qui al Lido, di Andrew Dominik lo conferma, così come lo era stato una decina di anni fa per quello di Simon Curtis, più anonimamente strutturato, con Michelle Williams. Oggi Marilyn è Ama de Armas, che riassume la capacità, al pari della stessa Marilyn, di appropriarsi interamente della scena, fino a nobilitarla.

Alla base del film, com’è noto, c’è il voluminoso romanzo di Joyce Carol Oates, dal titolo omonimo di “Blonde”. Al contrario di Baz Luhrmann nel suo recente “Elvis” , coerentissima ricostruzione nello stile identificabile del regista pronto a sacrificare la storia nel suo immaginario, Dominik sa di trovarsi di fronte a un’incendiaria rappresentazione di un Mito, mille e più mille volte spossessata del suo corpo per essere ricodificata nello sguardo di ognuno, da Andy Warhol al più estasiato dei suoi fan. In questa infinita galleria Dominik cerca di provocare la deflagrazione di questo immaginario, ragionando soprattutto sull’iconografia costipata degli anni in cui Marilyn visse, ma ancora di più dopo la sua morte. Non è un caso che l’ossessione lusinghi una sua trivialità, insita nelle immagini stesse del Mito, che Dominik sfodera a più riprese, dove l’erotismo del suo corpo sfocia in rumorosi amplessi, con produttori e giovani rampolli figli d’arte, come Chaplin jr. e Robinson jr, fino al trash più assoluto con il sesso orale al presidente Kennedy (un’anteprima del caso Clinton-Lewinsky), alla Casa Bianca in piena crisi mondiale per Cuba, con tanto di simbologia pesante (si noti l’erezione del missile). Ma il film, distribuito da Netflix, inciampa semmai sia nel tentativo, meno necessario, della variante stilistica dei formati e l’alternanza senza motivo tra il bianco e nero e il colore, sia nella frattura tra immaginario e fatti reali, allungando a dismisura i tempi e i personaggi, su tutti ovviamente Joe DiMaggio (Cannavale) e Arthur Miller (Brody). Ecco quindi l’infanzia sofferta con la mamma sciroccata e il rapporto con il padre mancante, le gravidanze mancate per dimostrare il disagio nella vita e sul set, per non parlare delle incursioni oniriche, dal feto quasi kubrickiano a certe soggettive. Così in quasi 3 ore funziona meglio la figura di Marilyn, riassunta in quella celeberrima, insistita ripetizione della gonna alzata dai soffioni della metro, simbolo erotico per eccellenza, che Marilyn stessa, in un film che accenderà discussioni e contrapposizioni. Voto: 6,5.

Nell’altro film in Concorso, l’iraniano Vahid Jalivand con “Beyond the wall” ci porta dentro una rivolta, nella quale una donna arrestata riesce a fuggire, nel tentativo di ritrovare il figlioletto perduto, e a rifugiarsi in un appartamento di un uomo cieco, che farà di tutto per proteggerla. Se l’impatto iniziale è potente e angosciante (l’uomo cerca disperatamente di suicidarsi), il resto, sempre di violenza fisica e psicologica non indifferente, poggia esclusivamente su un’idea, smascherabile da metà film in poi, ripetuta e portata all’esasperazione. Con la rivolta che sembra un estratto breve dell’azione di “Athena” a oltre cinquemila chilometri di distanza, il film alla fine diventa un monito sulla precarietà della libertà, ben identificata nel carrello indietro finale, con il carcere sempre più in evidenza nel paesaggio. Voto: 6,5.

Fuori Concorso arriva “Siccità” a firma Paolo Virzì, dove in una Roma torrida e arida, con ormai l’acqua assente, alcuni personaggi cercano di sopravvivere, mentre esplode anche un’epidemia incontrollata. L’ambizione di Virzì è di guardare ad Altman descrivendo coralmente la volgarità di una società allo sfascio. Però l’esito non è confortante, virando più verso situazioni vanziniane, ma con l’istinto autoriale. Decisamente deludente. Voto: 5.

 

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Il Gazzettino