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Le lacrime di Julianne Moore hanno dunque prevalso su tutto, come accadde con quelle di Meryl Streep qualche anno fa a Berlino. Lo si era capito quando la presidente della giuria di quest’anno uscì dalla proiezione di “All the beauty and bloodshed” di Laura Poitras, documentarista statunitense famosa soprattutto per “Citizenfour”, Oscar 2015. Un segnale che tutti hanno sottovalutato. E così la vigilia, come spesso accade, viene tradita in quei film che sembravano destinati al Leone: da “The banshees of Inisherin” e soprattutto “No bears” del regista iraniano Jafar Panahi, com’è noto ora in carcere, e che invece si sono dovuti accontentare di premi inferiori. Il Leone vola quindi ancora una volta in America (d’altronde in Concorso la presenza Usa era rumorosa), terza volta negli ultimi 6 anni e finisce nelle mani di un film che commuove senz’altro, proponendo una dura storia personale e collettiva, che ricorda come un farmaco pericoloso lasciato in commercio abbia portato molte persone a morire; ma detto questo dal punto di vista cinematografico la rilevanza è blanda: il Leone è dunque modesto, scelto come spesso accade per motivi puramente contenutistici, un’opera insomma poco originale e che probabilmente lascerà distratto un possibile pubblico futuro e nel tempo verrà dimenticato facilmente.
L’Italia esce male, anche calcolando i due premi (regia e attore emergente) assegnati a “Bones and all” di Luca Guadagnino, un film internazionale che di italiano ha davvero poco, a parte il regista.
In un palmarès che vede tre film andare in doppio premio, il che denota probabilmente la difficoltà della giuria ad ampliare la scelta (davvero non c’era altro su cui prestare attenzione?), spicca ovviamente “Saint Omer” della regista esordiente Alice Diop (già segnalatasi come documentarista), che si porta a casa il Leone d’oro del futuro e il Gran Premio della Giuria, forse un po’ troppo, pur in un film di spessore su un fatto crudele (infanticidio).
È stata un’edizione buona, non di più, un po’ inferiore alle attese: diversi film medi, poche eccellenze, ma anche poche ciofeche. Ventitré film in gara sembravano troppi alla vigilia e tali sono apparsi anche in corso di Mostra: francamente tre-quattro di questi potevano anche non esserci, avrebbe reso tutto più snello. Assai problematico, com’è noto dal primo giorno delle prenotazioni, il sistema per accedervi, il che interessa solo a chi sta qui, ma speriamo che l’anno prossimo vada meglio, anche se lo avevamo detto anche l’anno scorso. Venezia chiude dimostrando che i grandi festival, in generale, oggi forse meriterebbero un ripensamento globale, oggi fortemente caratterizzato dal desiderio di offrire tanto, che diventa troppo e che alla fine fa perdere molte cose.
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Il Gazzettino