Venezia 78, giorno 10. Brizé e il lavoro: Lindon da Coppa Volpi. Divertirsi da Matti

Venezia 78, giorno 10. Brizé e il lavoro: Lindon da Coppa Volpi. Divertirsi da Matti
Ultima giornata del Concorso, che va a chiudersi con un caotico e fluviale poliziesco asiatico e la nuova puntata, rigorosa e convincente, di Stéphane Brizé sul...

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Ultima giornata del Concorso, che va a chiudersi con un caotico e fluviale poliziesco asiatico e la nuova puntata, rigorosa e convincente, di Stéphane Brizé sul mondo del lavoro, con l’ennesima prova monumentale di Vincent Lindon, al quale speriamo non scippino la Coppa Volpi, dopo aver vinto il premio attoriale cannense sei anni fa per “La legge del mercato”.

Un autre monde” è il controcanto di “In guerra”. Qui non osserviamo più la sponda operaia, ma quella dirigenziale, con Philippe, che dovrebbe far accettare ai sindacati il drastico taglio di dipendenti, per garantire alla multinazionale dove lavora, profitti adeguati alle attese. Questo peso enorme non è l’unico. Sta infatti divorziando dalla moglie, che gli chiede una rendita salatissima, e ha problemi con il secondogenito maschio, un ragazzo dalla mente vivace ma problematico. Brizé lavora molto ancora sulla parola e sui silenzi, sui diktat e sulle responsabilità: la sceneggiatura, scritta assieme a Olivier Gorce, esplora un mondo frastagliato, contraddittorio anche al proprio interno, dove i quadri dirigenziali non viaggiano all’unanimità (cosa che accadeva anche tra gli operai del film precedente), ma mettono in luce come oggi la borghesia di mezzo stia perdendo sempre più potere, anche economico, rispetto ai grandi magnate, esposta quindi ad altrettanti rischi. Il film è indubbiamente meno potente ed esteticamente meno appassionante di “In guerra”: non ci sono manifestazioni e proteste, com’è ovvio, ma le sottili battaglie psicologiche, le insinuazioni e i doveri del ruolo, trovano sintesi adeguate nelle feroci riunioni, che nella loro apparente compostezza mettono in campo il perfido dominio di chi mantiene il vero comando. Può sembrare strutturalmente rigido, ma sa mostrare l’inquietudine di un uomo, che deve affrontare amletici dubbi dirigenziali (accettare o meno una proposta allettante per non essere licenziato) e complicate traversie familiari. E il superbo Lindon fa il resto. Voto: 7,5.

L’altro film in Concorso è il debordante “On the job: the missing 8” di Erik Matti, figura decisiva nell’attuale panorama cinematografico filippino, dopo Lav Diaz, noto soprattutto per film d’azione. Qui siamo a La Paz (da non confondersi con la capitale boliviana), dove il giornalista Sisoy cerca di fare luce sulla scomparsa e uccisione di 8 persone, tra i quali il suo collega e amico Arnel. La città, guidata dal sindaco Pedring Eusebio, è dominata dalla corruzione, dalla malavita e dagli omicidi. Nel frattempo Roman, un ergastolano impegnato talvolta per omicidi esterni, cerca vendetta. Matti porta una narrazione costipata e dalla durata ragguardevole di tre ore e mezza a una carica martellante ed esplosiva, dove canzoni a tutto volume fanno da accompagnamento al rumore compulsivo delle armi, le scene di massa si dimostrano coreografie esorbitanti (si pensi alla rivolta in carcere), i legami personali sono avvelenati da interessi, minacce e eliminazioni continue. Certo Matti guarda decisamente a Scorsese, ma lo gonfia con tutte le passioni e li stereotipi del film d’azione asiatico: ne esce un film tellurico ma divertente, al quale non si può nemmeno rimproverare di essere troppo lungo (e lo è). Voto: 6,5.

Infine Fuori concorso arriva l’ultima fatica di Ridley Scott, che riprende il tema dei duellanti (all’origine del suo cinema) e soprattutto la magniloquenza di “Il gladiatore” e “Le crociate”. Siamo nella Francia del 1300, guidata da Carlo V. Due condottieri amici (Jean e Jacques – Matt Damon e Adam Driver) rompono la loro amicizia, quando Jacques non solo strappa il comando di una zona, detenuta per 20 anni dal padre di Jean, ora morto, ma stupra la moglie dell’ex amico, temporaneamente lasciata sola al castello. Scritto da Ben Affleck, lo stesso Matt Damon e Nicole Holofcener, diviso in tre blocchi narrativi (Jean, Jacques e la moglie Marguerite), rimandando a “Rashomon”, in cui ognuno esprime la propria verità, "The last duel", oltre a rappresentare uno specchio antico di “Les choses humaines”, passato da poco fuori concorso, è spettacolarmente inutile (anche nel duello finale) e dimostra come nessuno ormai a livello industriale si faccia sfuggire il tema #metoo, anche in pieno Medioevo. Voto: 5.

 

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Il Gazzettino