Una prova di forza verso Cannes: una Mostra mostruosamente ricca e qualche dubbio

Una prova di forza verso Cannes: una Mostra mostruosamente ricca e qualche dubbio
Un programma pazzesco, una coda chilometrica di star in arrivo. Venezia punta sul gigantismo, sfodera un’edizione, la...

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Un programma pazzesco, una coda chilometrica di star in arrivo. Venezia punta sul gigantismo, sfodera un’edizione, la sua 75esima, impressionante, un’esagerazione che indica la voglia muscolare di dimostrare la propria forza, soprattutto nei confronti della grande rivale Cannes, vista come un pugile ultimamente in difficoltà alla quale si vuole assestare il colpo del ko: la sensazione è netta. La Mostra sembra avere dunque, con un’azione conflittuale strategicamente ponderata, l’urgenza di rubare definitivamente la scena internazionale mediatica e produttiva a Cannes, dalla politica autoriale ai grandi studios, a cominciare dalle nuove sfide distributive delle piattaforme di streaming come Netflix e Amazon, che sulla Croisette sono state osteggiate e che qui trovano, in modo eloquente, dimora privilegiata.
L’elenco bulimico dell’offerta spinge l’attesa a essere spasmodica: diciamo la verità, un girotondo cinematografico così Venezia forse non l’ha mai avuto. Sarebbe bastata la metà di questi nomi per essere sensibilmente eccitati. Tuttavia, come è risaputo, in ogni splendore si annida sempre qualche ombrosa insidia. Ad esempio: se il compito di un festival è correre anche dei rischi nell’individuare fermenti e terreni di sperimentazione, qui ci si butta con una decina di paracadute. Ovviamente Venezia non è (e non può essere) Locarno per dire, ma tutta questa magnificenza autoriale è perfino stordente. E se è chiaro che la sezione “Orizzonti” scandaglia teoricamente sguardi diversi (dico teoricamente viste le identità non sempre chiare degli anni scorsi...), così sembra quasi schiacciata e intimorita da tanto clamore in Concorso. L’americanizzazione del Lido è una risorsa fondamentale per riavere fama e autorevolezza mondiale un po’ perduta fino a qualche tempo fa, ma diventarne una succursale come spasmodico trampolino per gli Oscar (si veda la scaramantica riapertura con Chazelle-Gosling…) può essere un limite e d’altronde quando anni fa titolammo “Barbera & Coca Cola” non volevamo fare solo un gioco di parole simpatico, ma avevamo visto bene la strada tracciata. Inoltre la ghiottoneria ha sempre un risvolto amaro: un po’ come dover visitare da turisti Venezia in un giorno solo, al massimo si osserva la Piazza, la Basilica e il Palazzo Ducale, il resto diventerà rimpianto. Ma questo ormai vale per tutti i festival. Qualcuno, infine, dirà anche che avere una sola regista in Concorso contro 20 maschi è un anti #metoo che farà (e ha già fatto) discutere.
Dette doverosamente queste piccole perplessità, la Mostra resta mostruosa nella sua generosità. Registi e star sono in numero esorbitante: Audiard, i fratelli Coen, Cuarón, Greengrass, Lanthimos, Leigh, Nemes, Reygadas, Schnabel, Tsukamoto, Wiseman, Tsai Ming-Liang, Gitai, Trapero, Zhang Yimou, Kusturica, Loznitsa, Naderi, Errol Morris e per gradire Orson Welles, del quale finalmente si vedrà l’ultimo suo film mai montato e finalmente disponibile grazie anche a Netflix, quel “The other side of the wind”, girato negli anni ’70 e che diventa forse l’operazione più di culto della Mostra, anche questa in barba a Cannes, dove il film sembrava inizialmente destinato.
Non meno avvincente (e anzi per il pubblico generalista lo è ancora di più) l’inventario annunciato delle star. Quindi apparentemente c'è di tutto per essere soddisfatti almeno sulla carta.
L'Italia vede in gara gli ultimi film di Mario Martone, del texano Roberto Minervini e soprattutto l’attesissimo remake di “Suspiria” firmato da Luca Guadagnino (in realtà solo del primo si può parlare di italianità totale), una pattuglia eterogenea e promettente, che potrebbe aspirare a qualche riconoscimento (ma è davvero difficile fare pronostici, visto il “parterre de roi” alla partenza); e anche non in gara per il Leone si trovano lavori annunciati e non privi di interesse, almeno sulla carta, ma con gli italiani meglio andare sempre cauti.

Barbera parla di cinema del presente e di adesione al “genere” che riscalda l’autorialità delle scelte: questo sicuramente incuriosisce e porta l’attesa su percorsi più intriganti. Ma è un peccato vedere ancora una volta fette intere di pianeta cinematografico dimenticate. Il resto lo fa ormai una macchina oliata e risorta dalle ceneri dell’era del “buco”: Biennale College, Sconfini (il vecchio Cinema Giardino), VR al Lazzaretto, anche la riapertura di una sede amata come Il Des Bains, la riconfigurazione prossima del Casinò sono tutti tasselli, artistici e strutturali, che spiegano lo stato di eccellente salute della Mostra. Cannes è lontana. Non solo geograficamente. Senza aspettare il 29 agosto.

 
 
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Il Gazzettino