Un "viaggio" quasi comodo e comico ma la Storia dall'Irlanda ai Balcani è un'altra

Un "viaggio" quasi comodo e comico ma la Storia dall'Irlanda ai Balcani è un'altra
A volte anche un involontario tempismo legato a un fatto di cronaca può diventare uno slancio supplementare...

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A volte anche un involontario tempismo legato a un fatto di cronaca può diventare uno slancio supplementare all’interesse di un film. La recentissima scomparsa, a pochi giorni dall’uscita del film in Italia, di Martin McGuiness, figura carismatica nel Sinn Féin, il movimento indipendentista irlandese, potrebbe sicuramente concentrare maggiore attenzione su “Il viaggio” di Nick Hamm, tentativo riuscito solo in parte di convertire in commedia il tentativo storico di risolvere l’atrocità della guerra dell’Ulster.
La tormentata fine del conflitto nordirlandese diventa così una sfida che abbandona le coordinate principi della politica, qui quasi componente laterale della vicenda, affidandosi a una sorta di gioco teatrale (quasi tutto il film si svolge all’interno di una Mercedes) che investe soprattutto la bravura di due attori straordinari come Timothy Spall e Colm Meany. Il primo è il reverendo Ian Paisley, leader ultraconservatore del Partito Unionista, mentre il secondo è il cattolico McGuiness, recentemente scomparso. Il primo non ha nessuna intenzione di accordarsi, rinunciando anche ad ogni obbligo di dialogo; il secondo cerca con abilità a volte maldestra di scrostare quell’assurdo diniego a qualsiasi conversazione.
Siamo storicamente nell’Inghilterra di Tony Blair, alla vigilia degli accordi di St. Andrews nel 2007 e in quella corsa in mezzo ai boschi scozzesi verso un aeroporto tra due incrollabili nemici nasce, tra spavalderie, minacce e molto sarcasmo, la reale possibilità di dire basta a troppo sangue. Hamm sceglie un po’ azzardatamente l’on the road ecumenico e romanzato, con una comicità tutta british, dosando speranze e inceppamenti, detour incontrollabili e agnizioni quasi ovvie (il ruolo dell’autista…), puntando sull’effetto facile, sorvolando come la scena non sia quella paradossale di uno script dell’assurdo, ma uno dei tragici conflitti della Storia più recente.
Se si supera questa scelta buonista e si accettano le schermaglie valide solo per sollecitare l’ironia delle battute, il film presentato fuori concorso all’ultima Mostra lagunare, può perfino reggere, dimostrandosi coerente con la scelta di fondo. Tuttavia nella debolezza inevitabile di derubricare l’impatto politico, il rischio di destinare azioni e personaggi al macchiettismo non viene purtroppo evitato.
Stelle: 2


DALL'ALTRA PARTE - C’è un finale a sorpresa, narrativamente forte, ma francamente poco credibile, nel film “Dall’altra parte” del croato Zrinko Ogresta, onesta lettura intimista della terribile guerra dei Balcani, nella Zagabria di oggi. Una storia che se racconta ormai per l’ennesima volta ferite e fantasmi della dissoluzione della ex Jugoslavia, fa presa su uno sviluppo asciutto di memoria crudele, dove lo sguardo si ferma sempre a un passo dall’essere invadente. Vesna è un’infermiera nella capitale: suo marito passò allora dalla parte dei serbi e oggi, dopo anni di lontananza, si fa vivo per telefono. Tradimenti, atrocità, conti in sospeso, ma Ogresta ha la mano salda. 
Stelle: 3


LA VENDETTA DI UN UOMO TRANQUILLO - Esordio alla regia dell’attore spagnolo Raúl Arévalo, è un revenge-noir non privo di interesse, che parte da una rapina finita male e termina con una resa dei conti furibonda. Se da un lato l’attenzione ai personaggi e all’ambiente è molto curata, la voglia di stupire sia sul piano estetico (il piano sequenza dell’incidente stradale, ma non solo) sia su quello narrativo a volte prende la mano. Ma è innegabile che la natura del racconto, con i suoi repentini cambiamenti di registro (di azioni e ruoli) possa avere una buona presa sullo spettatore. Eletto esageratamente miglior film dell’anno in Spagna.
Stelle: 2½
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Il Gazzettino