Tre solitudini a Natale: Payne lascia il segno Yannick: Dupieux stavolta frena la burla

Tre solitudini a Natale: Payne lascia il segno Yannick: Dupieux stavolta frena la burla
Il cinema di Alexander Payne si è sempre collocato su tenori morbidi, anche nei momenti più aspri, votato a...

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Il cinema di Alexander Payne si è sempre collocato su tenori morbidi, anche nei momenti più aspri, votato a situazioni malinconiche, a tormenti raccontati con misura, siano essi di giovani o di persone in età matura, personaggi in qualche modo toccati dalla vita nei loro aspetti più intimi, sentimentali. A volte è sembrato che il suo cinema si chiudesse un po’ in sé, in qualcosa che restava privato anche tra i personaggi, a un passo dalla lacrima, ma con un’asciuttezza del racconto spesso esemplare. Semmai è proprio quando lo stile ha cercato qualche eccesso, che Payne ha dimostrato di non essere in grado di restare altrettanto convincente, come nel suo penultimo lavoro (“Downsizing – Vivere alla grande”), con il quale inaugurò la Mostra di Venezia nel 2017. È per questo che con soddisfazione ritroviamo la sua mano più fertile con “The Holdovers  - Lezioni di vita”, passato nell’estate scorsa a Telluride e poi approdato poco tempo fa al festival di Torino e ora nelle sale italiane. Racconta la storia di un insegnante di letteratura nel New England all’inizio degli anni ’70, una vita dedicata completamente alla scuola, un personaggio all’apparenza intransigente, un po’ burbero, solitario, poco amato dagli studenti. Per le vacanze di Natale, al professore viene dato il compito di intrattenersi nel college con i pochi studenti non andati a casa per le vacanze, che poi in definitiva si riducono a uno solo (Angus, abbandonato nella circostanza dalla madre, in giro col suo nuovo partner), puntualmente il più problematico, mentre a governare l’edificio rimasto vuoto c’è la cuoca Mary, una donna di colore, che ha perso da poco il figlio in Vietnam. Nei giorni che passano, che servono soprattutto a riaprire per tutti ferite passate e delusioni presenti, i tre inizieranno a conoscersi meglio, svelando particolari del loro carattere tutt’altro che spinoso, ma purtroppo una visita estemporanea sgradita alla famiglia del ragazzo, costringerà l’insegnante a fare una scelta che cambierà la vita di tutti, dove l’infelicità generale verrà mitigata dal fatto di aver fatto comunque la mossa giusta. Payne dimostra ancora una volta una sensibilità non comune, in un film che potrebbe apparire estraneo alle logiche nervose del cinema odierno, con ritmi lenti, una narrazione e uno stile che appartengono al cinema degli anni ’70, quelli vissuti sullo schermo. Non è originale la storia e forse nemmeno il modo di raccontarlo, ma il film sa toccare ancora una volta le corde dell’emozione e della commozione. E se Dominic Sessa dà al suo giovane Angus il giusto segno sofferto da adolescente in lotta col mondo e l’apprezzabile Da’Vine Joy Randolph è una cuoca-madre che ritrova un “figlio” perduto, non ci si stanca mai di sottolineare la bravura di Paul Giamatti, attore che non ha ancora ottenuto il riconoscimento che meriterebbe. Voto: 7.

SE UNA SERA A TEATRO UNO SPETTATORE... - Nel mezzo di uno spettacolo teatrale davanti a una platea semivuota, un giovane spettatore che dice di chiamarsi Yannick (che è anche il titolo del film) si alza e inizia a disturbare gli attori, rendendo l’atmosfera sempre più inquietante, soprattutto quando il giovane, piuttosto disturbato, estrae una pistola, tenendo in scacco anche il pubblico. Dupieux abbandona parzialmente il suo lato più istrionicamente grottesco e in un’ora appena descrive un apologo acre su vita e rappresentazione e sui rapporti di classe tra pubblico e artista, quindi di potere. Non originale nella trama, il regista francese fa risaltare come sempre il suo stile, per nulla accomodante. Il protagonista Raphaël Quenard è una rivelazione. Voto: 6,5.

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Il Gazzettino