Torino 39/3 Cry macho, tramonto e polvere Anche i machi possono piangere

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Il tempo che...

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Il tempo che passa, il Mito che si arrende, una lacrima che scende sul viso di un uomo che non ti saresti aspettato: d’altronde già con “Gli spietati” si era iniziato a scalfire la leggenda del macho imbattibile, ma era nel secolo scorso e gli anni non erano ancora evidenti su un fisico che adesso barcolla dentro un film, dove l’affetto e la gratitudine per un grande regista aiutano a trovare il modo per essere generoso quanto lui. Così si potrebbe dire di “Cry macho - Ritorno a casa” opera che almeno mostra una grande sensibilità, struggente sentire della vita che sfuma, valori morali che l’umanità deve sempre tenere presente. Ma è un sussurro e non un grido, è il fuoco sopito di un tramonto, come se quei grandi spazi all’orizzonte non chiamassero più, se non per acquietarsi magari nelle braccia di qualcuno per le ultime gioie della vita. Clint Eastwood è Mike Milo, una vecchia gloria dei rodei che oggi caracolla ancora con le sue gambe, nonostante incidenti e pesi della vita. Il suo capo gli affida una ricerca complicata: ritrovare il figlio in Messico, che se ne è andato un tempo con la madre e adesso è adolescente, ma soprattutto convincerlo a ritornare col padre. La faccenda si complica ovviamente subito, perché certo la madre non si arrende e il cammino per tornare negli States è irto di insidie, specie se qualcuno è sulle tracce per evitare che questo avvenga. Strada facendo per Mike ci sarà un incontro importante, una nuova luce che potrebbe illuminare gli ultimi anni di un’esistenza sofferta. Macho è il nome del gallo del giovane ragazzo, che frequenta ambienti malsani e passa le giornate con i combattimenti tra pennuti ed è evidente come questa dicotomia amplifichi un titolo, che è già un manifesto di intenti. Scritto ancora da Nick Schenk, che aveva fatto senz’altro meglio non solo con “Gran Torino” (forse il capolavoro di Clint, in mezzo a tanti titoli memorabili), e tratto dal romanzo omonimo di N. Richard Nash, “Cry macho” è un western crepuscolare, intimo e affaticato, un avventuroso sussidiario di immagini e storie che abbiamo visto mille volte, ma che ancora adesso riescono a farci appassionare e sognare. Ci si può commuovere nel vedere cavalcare un novantenne che in realtà trova complicato perfino camminare, ci si può emozionare in questa ennesima storia di formazione dove il vecchio e il bambino vanno verso la frontiera di un mondo che si vorrebbe perfino abbandonare (e non è un caso, e forse è una scelta a suo modo “politica” che Mike alla fine decida di restare in Messico), ma è tutto giocato sul sentimento che si prova verso Clint, perché il film più che senile è fiacco, le accelerazioni della storia sono prevedibili e stanche, l’insieme fa l’effetto più di una tisana che non dell’ennesimo whisky. È la penombra di un mondo impolverato che sta per spegnersi nel suo stesso rincorrere la leggenda. Voto: 6.

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Il Gazzettino