Riecco "The Bear", ancora più bello di prima

I protagonisti Jeremy Allen White (Carmy) e Ayo Edebiri (Sydney)
 L’”orso” Carmy resta sempre in gabbia: la gabbia della cucina che sta ricostruendo per riscattarsi, la gabbia di una competizione che lo fa sentire sempre...

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 L’”orso” Carmy resta sempre in gabbia: la gabbia della cucina che sta ricostruendo per riscattarsi, la gabbia di una competizione che lo fa sentire sempre inadeguato e sull’orlo del fallimento, e soprattutto la gabbia di una felicità che spaventa, spingendolo a distruggere tutto ciò che di buono ha appena costruito. La seconda stagione di “The Bear”, dieci splendidi episodi scritti in stato di grazia da Christopher Storer & Joanna Calo e ora su Disney+, è un altro viaggio emozionante, adrenalinico e pulsante nelle fragilità umane, tra anime in pena decise a migliorarsi, sfidarsi, riscattarsi, in cerca di una chance grazie a un ristorante da riaprire. Che diventa quasi un tempio sacro dentro il quale ritrovare se stessi.

LA SCOMMESSA

Se la prima stagione, “Carmy-centrica”, raccontava la cucina come mezzo per esplorare se stessi, elaborando il trauma della morte (del fratello) per liberarsi dal senso di colpa, la seconda, più compatta e corale, narra una ricostruzione che deve cominciare dalle fondamenta: quella del ristorante che da “The Beef” diventa “The Bear”, puntando addirittura alla stella Michelin, e quella dei protagonisti, a partire dal magnifico duo Carmy-Sydney, Jeremy Allen White e Ayo Edebiri, costretti a fidarsi l’uno dell’altro per riuscire ad alzare il livello del gioco. Tutto va rifatto, in questa seconda stagione, dalla vita personale della brigata impegnata in cucina al locale che va riaggiustato: c’è l’impianto elettrico da rifare, quello antincendio da aggiornare, e poi le pareti piene di muffa da buttar giù, i macchinari da sostituire, i permessi da ottenere, il menù da inventare. Ogni episodio si muove in equilibrio tra i problemi “esterni” e i conflitti “interni” dei singoli spinti, magari controvoglia, a rimettersi in gioco per recuperare un futuro negato. «Non è mai troppo tardi per ricominciare» svela in un momento intimo la celebre chef stellata Terry - magnifico cammeo di Olivia Colman - al fastornato cugino Richie (Ebon Moss-Bachrach) in cerca del proprio posto al mondo.

COMPITI & FAMIGLIA

A ognuno viene così affidato un ruolo preciso che serve a far funzionare il gruppo, proprio come se tutti fossero agli ordini del capitano Kirk nella sala comandi dell’Enterprise. Carmy & Sydney guidano un’astronave lanciata nello spazio oscuro delle loro paure. Perché fallire con il ristorante significa fallire nella vita. Lasciando rovine dietro di sè. Non è un caso, in fondo, che in uno degli episodi più belli della stagione, il numero 6, “Pesci”, che dura un’ora e scava nella famiglia di Carmy, casa Berzatto letteralmente si sfasci dopo un crescendo di tensione che alza sempre il punto di rottura. Un doloroso, ansiogeno e sfiancante flashback su una cena di Natale dentro cui vola di tutto: insulti, urla, forchette, cibo, dolore. A tavola ci sono Carmy e il fratello gigione Mickey, futuro suicida, la dolce sorella Nat, e poi il cugino Ritchie, lo zio ricco Oliver Platt  e altri parenti, e soprattutto mamma Bearzatto, Donna. Una puntata che toglie il fiato e catapulta lo spettatore nel delirio isterico e paranoico di ognuno. Una decostruzione sovversiva dello spirito delle feste in bilico tra normalità e follia, con la macchina da presa che si incolla alle voci e alle facce dei protagonisti, in mezzo a un cast incredibile di guest star, a partire dalla mamma fuori misura di Jamie Lee Curtis, una “pentola a pressione” che alla fine scoppia, e poi lo zio velenoso Bob Odenkirk (“Better Call Soul”) che lancia forchette, la zia gentile e ambigua Sarah Paulson che spinge Carmy a scappare da lì, e lo stand up comedian John Mulaney che si sforza di non soccombere. Un Natale di rovine.

RICOSTRUIRE

Di qui la necessità di “ricostruire” tutto: cucinare, in fondo, aiuta a recuperare il pensiero. A dare forma a idee e intuizioni, a prendersi cura dell’altro in modo diverso. E una volta trovato il “quid” che funziona in cucina, «basta rifarlo un milione di volte e poi il gioco è fatto». Il segreto sta qui, nel provarci sempre. Ecco allora che “The Bear” trasforma il cibo in un sentiero da percorrere per crescere, dal punto di vista umano e professionale, facendo i conti con la sconfitta, la depressione e il dolore, con la felicità del successo e al tempo stesso con la paura di fallire. E «ogni secondo conta», come recita la frase-mantra degli episodi. Magari basta solo un’omlette ideata in pochi minuti per regalare un momento di gioia all’altro. O una maniglia rotta all'improvviso per finire intrappolati nella cella frigorifera e perdere tutto.

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Il Gazzettino