"The Bad Guy", la serie che non ti aspetti: la mafia tra cronaca, cinismo e umorismo nero

Luigi Lo Cascio e Vincenzo Pirrotta in "The Bad Guy"
Il Ponte sullo Stretto che si sbriciola. Un parco acquatico covo di mafiosi che si liberano dei cadaveri gettandoli in pasto alle orche. Magistrati antimafia che non occorre...

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Il Ponte sullo Stretto che si sbriciola. Un parco acquatico covo di mafiosi che si liberano dei cadaveri gettandoli in pasto alle orche. Magistrati antimafia che non occorre più far saltare in aria, basta accusarli di essere collusi. Crimine, mob drama, umorismo nero e denuncia sociale si legano in un racconto “figlio” di Montecristo e “Breaking Bad” e costruito su un linguaggio nuovo fatto di inquadrature sghembe, colori accesi, trovate originali e fantasiose, omaggi cinematografici, libertà nei dialoghi e nella costruzione di personaggi e plot, con musiche che spaziano da Mina a Battiato e Santana. E con quel veleno “vero” e cattivo, così inaspettato nei prodotti italiani. Difficile non amare “The Bad Guy”, folgorante serie tv su Amazon Prime già diventata un cult, firmata dalla coppia Giuseppe G. Stasi & Giancarlo Fontana (col supporto di Ludovica Rampoldi e Davide Serino alla scrittura) che poco tempo fa ha concluso le sue prime sei puntate con un finale aperto che punta alla seconda stagione.

DISCESA AGLI INFERI

L’impianto narrativo di “The Bad Guy” è molto classico ma al tempo stesso innovativo: la lotta alla mafia viene narrata come un dramma shakespeariano che vibra di temi altrettanto classici, come vendetta, corruzione, violenza, solitudine dell’eroe, e poi amore, amicizia, senso di appartenenza, la famiglia. Al centro c’è un uomo, il magistrato antimafia Nino Scotellaro (lo straordinario Luigi Lo Cascio), accusato di essere al soldo della mafia: condannato e spedito in galera, riesce inaspettatamente a rialzarsi, meditando vendetta. Una sua discesa agli inferi, la sua, dentro la quale i registi si divertono a rovesciare la prospettiva. A partire proprio dalla bella sequenza in cui il ponte sullo stretto si “dissolve” (come il Morandi) lasciando “rotolare” il protagonista all’interno del blindato della polizia che affonda in mare. Dato morto per tutti, Lo Cascio “rinasce” come lontano cugino di un boss che arriva «dall’America, del sud», pronto a scompigliare gli equilibri delle famiglie mafiose al soldo del boss che gli ha rovinato la vita. E come Montecristo, l’ex magistrato costruisce giorno dopo giorno la sua vendetta, deciso a combattere il nemico “dal di dentro” senza ricorrere agli strumenti della giustizia.

LA VENDETTA

Stasi e Fontana raccontano la mafia sbeffeggiandola, con un’ironia cinica e feroce capace di spingere in avanti la storia con una complessità drammaturgica cui i prodotti italiani non sono abituati. Non ci sono santi o eroi, ma un mondo opaco in cui i confini tra bene e male si confondono, e dove non è facile essere coraggiosi, tanto più per le forze dell’ordine perennemente “esposte” al contagio. Ma anche i rapporti di forza all’interno dei clan sono ostaggio di regole feroci, con padri disposti a sacrificare i figli nel nome dell’onore e figli pronti a tradire pur di sopravvivere. A fianco di un magnifico Lo Cascio che sembra sdoppiarsi per modellare il suo piano, un bel cast di attori che dà forza alla serie. A partire dalla Claudia Pandolfi, avvocata dura e razionale ma al tempo stesso vedova malinconica, decisa a trovare la propria strada in una Sicilia dove tutto sembra compromesso. E poi Vincenzo Perrotta, vulcanico boss capace di inaspettati momenti di brutalità; la delicata Selene Caramazza, figlia “rinnegata” del capo mafioso cui tutti danno la caccia, che crudelmente le rapisce il figlio. E un intero “universo” di mafiosi, pentiti, avvocati, poliziotti, spie e amanti e che sostengono la storia. Da vedere. Aspettando il seguito.

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Il Gazzettino