Se la telemedicina "cura" il business più che la salute

Se la telemedicina "cura" il business più che la salute
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Salireste su un aereo in cui la manutenzione venga fatta in video call tra gli ingegneri e i piloti? La vostra auto ha un problema ai freni: accettereste di fare la riparazione in video call con l'officina? Fuor di metafora: perché consideriamo un progresso della medicina affrontare i problemi di salute senza alcuna valutazione obiettiva e diretta del principale e unico protagonista della questione, il nostro corpo vivo?

La telemedicina è l'ultimo atto di un progressivo abbandono dei fondamentali della diagnosi medica: l'ascolto attento dei sintomi, che dovrebbero essere letti nella loro chiave fisiopatologica, e l'esame obiettivo del corpo, che subito svela indizi essenziali a ogni medico che sia un clinico competente. E' stato un abbandono progressivo con il crescere della fede, più o meno cieca, negli esami strumentali e, in particolare, nella diagnostica per immagini. Che costituisce un reale progresso solo se continua ad essere al servizio del rapporto diretto fra medico e paziente, essenziale per stabilire un rapporto fiduciario significativo e profondo, la vera alleanza terapeutica, basato su una competenza raffinata ed esperta sul fronte clinico.
Certo, la telemedicina ha un solido lato positivo: ha consentito la valutazione di pazienti, altrimenti non visitabili, in tempo di Covid. Oggi dà un'opportunità di monitoraggio più costante dell'andamento della glicemia nei diabetici, dell'ipertensione nei cardiopatici, della depressione post parto, e, più in generale, della risposta ai farmaci nel follow-up di molte patologie in terapia cronica. Tuttavia, dovrebbe prevedere accurate prime visite in presenza con il medico, e periodici controlli in presenza, intervallati da teleconsulti. Allora può essere uno strumento prezioso. La tendenza alla visita virtuale come modello di assistenza, e il perpetuarla by-passando il controllo diretto, presenta invece serie insidie, ben evidenti, per esempio, nel follow-up dei pazienti in chemioterapia.

Purtroppo molti medici non visitano più il/la paziente, nemmeno nel loro studio, con una perdita secca di capacità diagnostica a vantaggio di tempi di consulenza sempre più brevi. «Presto e bene non vanno insieme», dicevano gli Antichi. In un mondo che ha fatto della velocità un dio senza ombre, i tempi di visita sono contratti, con valutazioni cliniche sempre più superficiali, limitate e spesso inadeguate, nel pubblico come nel privato (con rare eccezioni). Oggi un giovane specializzando americano ("resident") divide così il suo tempo medio di studio: un'ora e mezza al giorno con i pazienti, e cinque ore e mezza al computer, leggendo articoli scientifici o contribuendo a studi clinici. Curerà persone o carte? Se l'attenzione al vero soggetto e oggetto di attenzione clinica, il corpo malato che sta chiedendo aiuto con i sintomi che la persona avverte e riferisce al medico, e i segni, le alterazioni del corpo visibili, ascoltabili e/o intuibili con un accorto ed esperto esame obiettivo, è sempre meno rilevante, ecco il passo critico: la negazione del valore del corpo come testimone primo del problema, e il salto nella "comoda" telemedicina, praticata di necessità in tempi di Covid e diventata ora fiore all'occhiello dei migliori istituti, come se quel "tele" tecnologico garantisse ex se una qualità diagnostica migliore.

Il successo della telemedicina nasce da molti fattori. Economici anzitutto. In una delle più famose cliniche londinesi per la cura della menopausa la signora invia gli esami, fa una breve video call con il medico, lui o lei che sia, risponde a qualche domanda e riceve la sua terapia con ormoni bioidentici. In tutto, quindici minuti. La clinica guadagna sull'immenso risparmio in termini di strutture, personale medico e paramedico, e strumenti: basta un computer, che il medico può usare da casa. Il singolo professionista guadagna sul numero di consulenze e su pazienti "garantite" dalla fama della struttura. La signora guadagna in termini di tempo, viaggi, logistica, trasporti. La soluzione è "comoda" per tutti, nel breve termine. Siamo sicuri che sia la migliore sul lungo termine? Quanti indizi, quanti sintomi e segni omessi dalla valutazione, possono diventare seri problemi domani?


La questione è ancora più drammatica quando la telemedicina entra nell'ambito del dolore: ed ecco l'escalation agli analgesici sempre più potenti e aggressivi come gli oppiacei, per "zittire" il dolore con una prescrizione rapida e comoda, ma insidiosissima in termini di dipendenze future. Il disastro americano sul fronte dell'abuso di oppiacei dovrebbe indurci a serie riflessioni. La "comodità" è una sirena molto seduttiva. Ma il suo canto lontano, fatto di promesse e illusioni, potrebbe essere fatale all'essenza dell'arte medica: il rapporto clinico personale, competente e profondo, fra medico e paziente. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino