Sotto il sole "parlando di chiffon" - In città pantashort-bordo-vagina

Sotto il sole "parlando di chiffon" - In città pantashort-bordo-vagina
  Una volta, diciamo fino a una trentina di anni fa (che è proprio….una volta), per dire di una conversazione leggera, superficiale, ovviamente assegnata di...

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Una volta, diciamo fino a una trentina di anni fa (che è proprio….una volta), per dire di una conversazione leggera, superficiale, ovviamente assegnata di preferenza alle donne che  si ritenevano meno “scientifiche” dei maschi, si usava dire – evidentemente non solo in Italia –“ parlare di chiffon”. Era un modo per stabilire che parlare di moda era un discorso frivolo. Poi sociologi e psicologi, si sono tuffati nella moda con studi e pandette. Tesi di laurea, corsi universitari per la moda, studi di esperti in tessuto o nella storia del costume , e la moda è diventata argomento di conversazione quotidiana soprattutto dove l’estate mette insieme nelle ore di spiaggia conoscenti vecchi e nuovi. Facile sotto l’ombrellone seguire i discorsi di moda pieni di citazioni, di informazione d’attualità esibita come etichetta di cultura . Chi abbia inventato il telefono o la penicillina può anche restare ignorato, ma prova tu a non sapere chi sia Miuccia Prada,  Maria Grazia Chiuri  , Rocco Iannone ,  Antonio Marras, Federico Scognamiglio. Non conosci il “manifesto rosa” di Gucci? …Non sai che  Michele Miglionico è lo stilista che ha abbinato all’alta moda  la “ sacra pasta”?   

 L’ignoranza nella moda è paragonabile  solo a quella nello sport: cioè gravissima, degna da sola di farti assegnare l‘etichetta di personaggio  disinformato e quindi  out. 
Cosa volevano significare del resto nei secoli passati quegli abiti sfarzosi costellati di pietre preziose, o quelle infinite piume sui cappelli, quei giri di perle multipli  o i volants di pizzo ridondanti negli abiti sfoggiati alla Corte di Francia se non l’ostentazione di un potere ,  ricchezza ,   appartenenza elitaria, affermazione ?  Comunque erano messaggi, che nel nostro tempo ci pervengono da un  jeans strappato , bucato, anzi dall’invasione di jeans strappati, da un tatuaggio che può presentarsi quasi nascosto, discreto, piccolino o così estremo  da abbracciare un braccio intero, o addirittura  distribuito su tutto il corpo fino a coprirlo, cancellarlo, renderlo una protesi dell’omologazione. E la testa rapata solo da una parte? E i piercings , piazzati ovunque risultino più scomodi e fastidiosi? E il bisogno di scoprirsi, di mettere a nudo quasi tutto, bello o brutto che sia, fino all’imperversare anche nella moda metropolitana del pantashort— bordo vagina  divenuto quasi una divisa (non solo per ragazzine)  che vediamo in qualsiasi ora e luogo del mondo? IL codice della moda continua la sua funzione di portatore di valori  e disvalori , comunque di messaggi. Un’asola , un taglio di giacca, un maglione o una t-shirt – meglio se completa di scritte o disegnini  - oggi sono il linguaggio della comunicazione per  costruire l’immagine che  vogliamo dare di noi. Ma non è detto corrisponda alla realtà.

Sotto l’ombrellone, finalmente quasi nudi -(forse ancora non abbastanza! -   come siamo in spiaggia  (uno dei motivi più evidenti della preferenza per le vacanze data al mare piuttosto che in montagna), i discorsi di moda si intrecciano in un “parlando  di jeans”  invece che di “chiffon”.  Si dice che sotto il sole trionfi la verità  ma… attenzione: la moda non può essere mai sincera nemmeno quando tenta di dire la verità.
 
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Il Gazzettino