La sfida della buona informazione, contro partigianeria e finta imparzialità

La sfida della buona informazione, contro partigianeria e finta imparzialità
Il giornalismo che tutti vorremmo è quello senza pregiudizi, che non veste casacche per far piacere al potente di turno o per motivi ideologici; capace di prendere...

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Il giornalismo che tutti vorremmo è quello senza pregiudizi, che non veste casacche per far piacere al potente di turno o per motivi ideologici; capace di prendere posizione su temi specifici, criticando sia a sinistra che a destra quando ritiene sia il caso, in piena libertà e autonomia di pensiero; che approfondisce e verifica, non limitandosi a cavalcare le emozioni della folla coma fa qualche pessimo esponente politico, impegnato a pensare solo al proprio consenso e non al bene della collettività; che va oltre ai comunicati stampa e non si limita a mettere un microfono di fronte all'interlocutore di turno, lasciandogli dire ciò che vuole.

Purtroppo questo tipo di giornalismo sembra confinato in uno spazio sempre più ristretto.

L'opzione che, troppo spesso, ci viene proposta è quella tra giornalismo schierato, dichiaratamente partigiano e giornalismo fintamente indipendente: che si proclama super partes, ma nei fatti opera per appoggiare un esponente politico, un Sindaco, un Governatore, vuoi per simpatie politiche o personali; peggio ancora, per compiacere interessi dell'editore.

Nessuno dei due mi piace, ma va riconosciuto che la prima categoria ha almeno il coraggio di metterci la faccia, di annunciare da che parte sta, offrendo al suo pubblico una chiave per interpretare le notizie che gli offre.

Il secondo tipo di giornalismo è privo di qualsiasi tipo di trasparenza e rispetto per i cittadini: fa passare critiche ed elogi come frutto di una valutazione autonoma sui fatti, quando spesso così non è; un giornalismo che si fa dettare le interviste, con tanto di domande e risposte preconfezionate, limitandosi a metterci la firma sotto; un giornalismo che sempre più fatica a mettere precisi confini tra pubblicità e informazione; un giornalismo che non ha neppure il coraggio di dichiarare apertamente da che parte sta anche se, prima o poi, diventa evidente per tutti.

Eppure, in una fase in cui la comunicazione può essere diretta, senza mediazioni, e attraverso i social le notizie viaggiano attraverso canali non professionali, il giornalismo ha una sola strada da percorrere: quella della qualità, del rigore, delle verifiche accurate, delle inchieste, degli approfondimenti. Continuare a dedicarsi all'intrattenimento; inseguire il chiacchiericcio dei social, fare spettacolo invece che informazione; urlare invece che utilizzare un linguaggio pacato per cercare di offrire chiavi di lettura della crescente complessità, non ha senso.

L'informazione è un bene primario, un diritto di rango costituzionale e il lavoro giornalistico è essenziale, a patto che ad ispirarlo siano i principi di lealtà e buona fede contenuti nelle legge professionale; di autonomia e indipendenza, di serietà e trasparenza.

E' questo il giornalismo di cui c'è bisogno e sono tanti i professionisti pronti a raccogliere la sfida, ad impegnarsi affinché a guidare le scelte sia innanzitutto il diritto dei cittadini ad essere correttamente e compiutamente informati.

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Il Gazzettino