«Ah, siete di Morbegno! Grandi uomini gli alpini del battaglione Morbegno! Che coraggio. E che cuore!». «Li conosce?». «Un po': leggendo Il...
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
OFFERTA SPECIALE
Tutto il sito - Mese
6,99€ 1 € al mese x 12 mesi
Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese
oppure
1€ al mese per 3 mesi
Tutto il sito - Anno
79,99€ 9,99 € per 1 anno
Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Il sergente nella neve lo metterei tra i libri di testo scelti, già dalle medie. Ad ogni età consiglio di (ri)leggerlo la sera, a casa o in vacanza, ora che i ritmi dell'estate sono più lenti e ci si può regalare un tempo quieto per leggere, per riflettere, per condividere. Siamo qui, e siamo italiani, anche perché migliaia di soldati ci hanno messo il cuore e la vita, per difendere il loro Paese, devastato da politiche nazionalistiche ed espansionistiche suicide.
Come mai questa passione per la storia di guerra? Il merito va a mio padre, tornato vivo dal fronte, con cui conversavo molto soprattutto il sabato, dopo pranzo, quando si era più tranquilli. Un giorno mi mise in mano un libro Lettere dal fronte, dicendomi: «Leggilo bene: così capirai che cos'è la guerra». Avrò avuto dieci anni. Poi altri libri, di Primo Levi. Ma quello che ha parlato e parla di più al mio cuore è proprio Il sergente nella neve. Per la narrazione intensa e concreta, così precisa e limpida che ci si sente in trincea. Lo vedo, il sergente maggiore Mario Rigoni Stern, che salta nella neve felice, come un capretto a primavera, l'ultimo Natale al fronte, quando il capitano lo chiama al comando di compagnia e gli regala un fiasco di vino e due pacchi di pasta. Nella furia di tornare nella tana con i suoi soldati scivola e cade, ma senza rompere il fiasco né mollare la pasta: «Bisogna saper cadere». Si è al fronte, vicino al Giuanìn angosciato, che continua a chiedere: «Sergentmagiù, ghe rivarem a baita?»; nel bunker vicino alle trincee, «dove si facevano bollire i vestiti pieni di pidocchi, dove si faceva la polenta dura con la segala», trovata e macinata alla ventura, «dove si fumava Macedonia, ed era come fumare patate». Si è lì, nella notte tesa prima dell'attacco frontale, già accerchiati, quando tutto era ancora fermo e silenzioso «e sentivamo quello che sente un animale quando fiuta l'agguato». O quando ordina di non sparare, perché i russi possano portare via i feriti e i morti. Si è lì quando comincia la ritirata più tragica della storia italiana. Si è lì, perché ci sono coraggio e cuore in tanti alpini, ma anche nei tanti russi che li ospitano e condividono il poco cibo, durante la ritirata che farà più morti delle pallottole.
Ottant'anni fa entrammo nella seconda guerra mondiale. La gran parte degli italiani d'oggi non l'ha conosciuta, se non in qualche racconto di famiglia. È essenziale ricordare, rivivere che cos'è davvero una guerra, dal di dentro. Dentro la mente, il cuore, i pensieri, dentro la pancia di chi ha rischiato o dato la vita, trattato da carne da macello. Entrare nella storia senza enfasi, senza retorica, con una forza morale che oggi abbiamo dimenticato. Erano uomini capaci di combattere, di credere, di impegnarsi, di restare uniti nelle avversità più tremende, di aiutarsi fino all'ultimo. Che fossero gli esploratori, o gli arditi del Morbegno. O mille altri. Leggere, e riflettere, per non dimenticare che cos'è la guerra, con le sue atrocità. Per apprezzare e proteggere la pace. Per ridare voce e coraggio alla parte più sana degli italiani.
www.alessandragraziottin.it Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino