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Lo sconfortato articolo della scorsa settimana sulla preoccupante e crescente impreparazione dei giovani al lavoro, per mancanza di metodo, cultura, competenza, impegno, educazione di base, ha ricevuto già domenica scorsa due piccoli ma concreti segnali di speranza, a cui ha dato spazio il Corriere del Trentino, in un bell'articolo di Silvia M.C. Senette, di cui riprendo alcuni passaggi chiave: è importante condividerli perché mostrano come, di fronte a un'evidente impreparazione, la risposta possa essere diversa e più costruttiva del promuovere tutti, con l'alibi che gli studenti d'oggi sono tanto fragili.
Il primo segnale è la decisione del Preside del Liceo delle scienze umane "Antonio Rosmini" di Trento, professor Stefano Kirchner, 67 anni, di bocciare 6 studenti su 23 in una delle sue quinte. La percentuale di bocciati in quella classe sale dunque al 26%, contro la media nazionale del 3% e contro l'ideologia del "tutti promossi" a prescindere dalla competenza e dalla cultura sviluppate, dall'impegno e dai risultati. Interessanti le motivazioni del Preside: «Preferisco definirli studenti che hanno la possibilità di fare un secondo percorso di studio, per approfondire alcune competenze rimaste incomplete. La bocciatura non è uno stigma. Indica un bisogno a cui dobbiamo rispondere». E ha aggiunto: «E' una scelta difficile, ma necessaria per garantire un percorso formativo completo che consenta di affrontare meglio il futuro. La preparazione dei ragazzi risultava carente per il sommarsi di alcuni fattori: il loro secondo anno è coinciso con la pandemia e per legge non è stato bocciato nessuno.
Il secondo segnale di speranza è la reazione dei genitori: alcuni hanno addirittura ringraziato il Preside per la decisione, allineandosi con la necessità di una migliore preparazione nell'ambiente più protetto del liceo. Anche se resta obiettivamente difficile recuperare in un anno, e proprio l'ultimo, tutti i debiti conoscitivi accumulati in tredici anni di scuola, dalle elementari alla fine delle superiori.
In positivo, la valutazione sulle reali competenze maturate dovrebbe tornare a essere presente fin dalle elementari, con esami periodici, da vivere come un ottimo allenamento per prepararsi sempre meglio. La ripetizione dell'anno dovrebbe essere considerata un'opportunità per acquisire una migliore cultura, più solide competenze, più accurate capacità di ragionamento e di argomentazione, che sono poi gli strumenti essenziali per affrontare la vita, professionale e non. Tuttavia, una rondine non fa primavera, anche se rilancia la speranza. E' indispensabile un cambiamento di rotta su tutti i fronti. Prima di tutto a livello familiare, per migliorare quanto la famiglia stessa può insegnare ai figli, iniziando dall'educazione civica, dal senso di responsabilità e dal rispetto delle norme e dei professori, per continuare col metodo di organizzazione del tempo quotidiano, e poi del tempo di studio e di svago: tanto meglio se un padre presente, affettuoso e autorevole, riesce a far comprendere e rispettare queste basilari regole del vivere civile. La famiglia, infatti, resta ancora la prima scuola di vita, con una frattura sempre più profonda tra le famiglie con ottimi stili educativi e le altre. E poi a livello scolastico e politico. E' la visione di fondo che deve cambiare, recuperando un po' della saggezza antica: «Per aspera ad astra»: attraverso un cammino difficile si può arrivare alle stelle. La fragilità non compare nemmeno o si scioglie, proprio attraverso l'allenamento quotidiano a superare piccoli e grandi ostacoli di studio. Come nella vita.
www.alessandragraziottin.it
Il Gazzettino