Una bella figura, un’impresa (o perlomeno l’attitudine a centrarla) e una vittoria convincente. Erano le aspettative sull’Italia di Conor O’Shea (e del suo...
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La prima è andata delusa. Com’era successo al debutto del ct irlandese in panchina, nel tour estivo. Aveva annunciato l’obiettivo delle tre vittorie. Invece in Argentina, com’era prevedibile, ha perso 30-24. Ma la squadra è stata in partita per 80’. Qui gli si chiedeva molto meno per fare bella figura, visto il livello degli avversari, invece non è arrivato neanche quello. L’Italia al cospetto dei “Bambino Blacks”, come la stampa neozelandese ha chiamato una formazione di rincalzi, non è mai esistita. Soggiogata in mischia, touche, fisicità e tutto il resto. O’Shea fa professione di ottimismo: «Per noi è un nuovo inizio. Se questo è il nostro punto di partenza andremo lontano». Non resta che credergli, per il futuro. Prendendo atto, per il presente, dei vent’anni di sviluppo persi da Fir e movimento da quando la Nazionale batteva l’Irlanda (1995-97) che oggi batte gli All Blacks.
La seconda aspettativa riguarda il Sudafrica, sabato a Firenze. Una big mai battuta dall’Italia, ma in evidente crisi di gioco e identità. Nell’ultimo anno ha preso 57 punti (a 15) dalla Nuova Zelanda, solo 11 meno di noi. Ma soprattutto ha perso per la prima volta da Giappone (34-32), Argentina (26-24) e dall’Irlanda in trasferta (26-20). Tutte squadre nel target degli azzurri. Provare a imitarle non dev’essere un’utopia, ma un’aspirazione.
Dopo gli All Blacks non ci resta che piangere? No, non ci resta che battere gli Springboks. (Ivan Malfatto)
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Il Gazzettino