La scomparsa dei negozi di dischi, il rischio conformismo

Il negozio di dischi Gabbia a Venezia
L’ultimo ad aver abbassato definitivamente le saracinesche è a due passi da Rialto. In uno stillicidio continuo che merita più di qualche riflessione.  ...

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L’ultimo ad aver abbassato definitivamente le saracinesche è a due passi da Rialto. In uno stillicidio continuo che merita più di qualche riflessione. 


Il negozio di dischi di Simone Gabbia, vicino al Canal Grande, ha deciso di chiudere i battenti mettendo fine ad un’attività di famiglia che si tramandava dal lontano 1939. Ma un po’in tutte le città il fenomeno si moltiplica da anni con puntualità impressionate. I clienti, anche quelli più esperti, hanno abbandonato questi negozi attratti soprattutto dalle offerte delle varie piattaforme in rete e dalle vendite on line. A questo va aggiunto un profondo aspetto generazionale, visto che anche per i lavori degli artisti più noti la prima scelta è quella della rete e trovare un trentenne con un disco in mano è praticamente impossibile. Qualche anno fa il pianista Franco D’Andrea, storico jazzista italiano, ci aveva confidato di essere un po’ preoccupato nel trovare nei teatri sempre persone con i capelli bianchi.
Certo, ma se si riflette solo sull’aspetto tecnologico e generazionale si rischia di perdere di vista quella che è sempre stata la vera funzione di questi negozi. Chiunque li abbia frequentati, con una certa regolarità, sa bene che dal titolare arrivavano sempre preziosi consigli su artisti emergenti, nuove sonorità e strepitose incisioni live che anche il più esperto del settore non riusciva a rintracciare. In ogni abitazione, insomma, buona parte della collezione di dischi arriva direttamente dalle imperdibili indicazioni degli stessi negozianti. E tutto questo, ormai sparito, difficilmente potrà essere recuperato dalla frenesia conformista di internet. 
In ogni caso, restando a Venezia, Simone Gabbia non ha rimpianti, sa di aver provato di tutto per resistere. Da qualche mese sulle vetrine del suo negozio c’è un cartello molto semplice “cedesi”. «Mi sento bene – conclude ricordando soprattutto l’incessante attività sul fronte della musica classica, sua passione – ho avuto una grande soddisfazione fino a quando c’era l’interscambio culturale con i nostri clienti su cantanti e direttori d’orchestra. E’ stato davvero un bel lavorare». 

Un piccolo mondo di relazioni musicali che scompare. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino