Manna italiana: tra Amore e Disco Boy due film che vale la pena di vedere

Manna italiana: tra Amore e Disco Boy due film che vale la pena di vedere
Già nei titoli di testa, che coprono tutto lo schermo, nel lungo travelling su una Milano notturna, attraente e al...

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Già nei titoli di testa, che coprono tutto lo schermo, nel lungo travelling su una Milano notturna, attraente e al tempo stesso inquietante, si coglie l’ambizione di Andrea Di Stefano di definire col suo terzo film da regista, il primo girato in Italia, una prova di maturità nel gestire una materia incandescente, tra il noir e il poliziesco. Gli incroci delle geometrie urbane, colte dall’alto nello sguardo penetrante del teleobiettivo, esprimono simbolicamente il crocevia umano che attende di essere decifrato ed esibito, perché l’inganno, come in ogni storia che si rispetti negli intrecci pericolosi tra malavita e forze dell’ordine, aspetta soltanto di potersi esprimere, con tutti i possibili ribaltamenti dei ruoli di ogni personaggio. In quella metropoli, che la fotografia di Guido Michelotti sembrerebbe voler agganciare alle perlustrazioni visivamente care a Michael Mann, il poliziotto Franco Amore sta per vivere la sua ultima notte di servizio, prima di andare in pensione: un incipit, verrebbe da dire, tutt’altro che originale. Lo cogliamo, infatti, all’inizio arrivare a casa, dopo la parentesi del jogging, dove la moglie gli ha preparato a sorpresa una festa per l’addio al lavoro, ma scopriremo presto che anche in questi banali saluti inattesi, si nasconde una verità completamente diversa, che un flashback esteso, inizia presto a svelare. Tutto comincia con un incarico che Franco Amore, poliziotto che in 35 anni di servizio non ha mai sparato a nessuno, ottiene non dai suoi superiori, ma da un boss cinese, che in quale modo gli è debitore. Amore è titubante nell’accettare, anche se la proposta economica è allettante, a maggior ragione dovendo iniziare questo compito prima di andare in pensione. In realtà all’apparenza il lavoro sembra facile. La moglie Viviana lo convince, l’amico e collega Dino gli dà una mano. Ma puntualmente qualcosa va storto. In mezzo ci sta un carico di diamanti e voltafaccia continui, tra tradimenti e bugie. Dopo “Escobar” e “The informer”, Di Stefano gira un poliziesco avvincente, con un’abilità non comune nel tenere il ritmo e la tensione. Tutto il nucleo centrale di "L'ultima notte di Amore" che si condensa attorno alla sparatoria, scatenata in una diramazione dell’autostrada, ha il pregio raro di essere credibile e lo svelamento progressivo delle responsabilità si nutre di colpi di scena e situazioni pericolose che non hanno nulla da invidiare a una messa in scena da thriller americano o da polar francese. Visto all’ultima Berlinale, non manca qualche eccesso caricaturale, ma Favino dona una carica dolente e malinconica all’impatto con la tragedia, Linda Caridi è una moglie che scombina le cautele, Francesco Di Leva si conferma una spalla di spessore. Come in un noir che si rispetti, tutti ne escono male. E quando tutto sembra terminare, basta un’ombra in avvicinamento a far pensare che la storia non finisca così. Voto: 7.

SENZA CONFINI - Unico titolo italiano in Concorso all’ultima Berlinale, premiato per il miglior contributo tecnico (la fotografia di Héléne Louvart), “Disco boy” è l’assai interessante opera prima di Giacomo Abbruzzese, tarantino ma da tempo trasferito a Parigi. Dimostra un’idea precisa di cinema, poco allineata, specie per la media italiana, capace di sradicare il racconto in frammenti e disporli per immagini, con uno sguardo onirico e visionario. Narra di Aleksei, bielorusso in fuga dal suo Paese per raggiungere la Francia e la libertà. Si arruola alla Legione straniera e finisce a combattere la guerriglia locale, che si oppone al potere delle compagnie petrolifere, che distruggono il paesaggio e i villaggi. Un film senza confini dai corpi in movimento geografico e politico, tra danza e guerra.  Voto: 7.

 

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Il Gazzettino