Cannes 72/2 Loach senza sorpresa Beanpole conferma talento di Balagov

Cannes 72/2 Loach senza sorpresa Beanpole conferma talento di Balagov
SORRY WE MISSED YOU di Ken Loach (Concorso) – Una famiglia del proletariato. Il papà accetta una lavoro di...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA MIGLIORE
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
ATTIVA SUBITO
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
ATTIVA SUBITO
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
ATTIVA SUBITO
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

SORRY WE MISSED YOU di Ken Loach (Concorso)
– Una famiglia del proletariato. Il papà accetta una lavoro di consegne dai ritmi disumani, la mamma accudisce persone in difficoltà, il figlio grande vive un’adolescenza ribelle. La situazione difficile fa precipitare la tranquillità di tutti. Il cinema di Ken Loach è ovviamente ancora importante: racconta il mondo dalla parte degli ultimi, mette in risalto gli ingranaggi di una società impostata sul dominio dei più forti, mostra il mondo del lavoro nelle sue dinamiche stritolanti, insomma un vero e forte cinema di sinistra. Ma, al di là di una usura inevitabile degli argomenti e di uno stile coerente ma ormai ripetitivo al massimo, è un cinema sempre più senza dialettica, fortemente manicheo (i buoni sempre buonissimi, i cattivi ovviamente cattivissimi) e stavolta anche narrativamente debole. E quando nel finale perfino il Caso si accanisce nei confronti del protagonista, francamente è troppo. Voto: 5.
BEANPOLE di Kantemir Balagov (Concorso)
– Nella Leningrado devastata dall’assedio, alla fine della II Guerra Mondiale, Iya è la “giraffa” del titolo, un’infermiera slanciata che non riesce sempre a controllare le proprie azioni: le viene affidato in custodia un bambino, che lei fa morire; la madre di questo bambino, l’amica Masha, tornata dal fronte cerca allora di averne un altro. Opera seconda di un regista russo, che propose a Cannes, due anni fa, la sua folgorante opera d’esordio “Tesnota” e che qui si conferma autore di opere forti e potenti, anche se stavolta sembra pagare già un tributo a un certo manierismo e a un racconto già scandito altre volte, dai tempi estremamente dilatati. Ma alcune scene (la scena della morte del bambino, su tutte) sono di impatto emotivo sconvolgente d la capacità di gestire lo spazio, stavolta claustrofobico ristretto in poche stanze e praticamente tutto in interni, è notevole. Voto: 7,5.
ATLANTIQUE di Mati Diop (Concorso)
– La protesta di un gruppo di operai, che stanno costruendo una torre futuristica a da mesi non ricevono lo stipendio, sfocia nell’idea di abbandonare il Senegal e attraversare l’Oceano in cerca di un futuro migliore. Suleiman è uno di loro. Ama Ada, ma le sta per sposarsi con un altro. La senegalese Mati Diop firma il suo esordio nel lungometraggio, con una storia che sfocia presto in un territorio di confine tra realismo e onirico (fantasmi dagli occhi bianchi), in una sorta di magica rappresentazione africana tra il rosso del sole e l’oscurità, forse senza decidersi su quale registro davvero adottare. Ma il film ha una sua sensibilità, traccia una discorso politico sulle migrazioni, ma resta sostanzialmente più interessante per l’idea e meno per la realizzazione. Voto: 6.

ROCKETMAN di Dexter Fletcher (Fuori concorso)
– Dal regista “fantasma” di “Bohemian rapsody”, un nuovo caleidoscopico biopic, che si limita ancora una volta alla superficie. Certo “Rocketman” è più compatto, entra un po’ più significativamente sul tema dell’omosessualità (e per questo ci sono state polemiche su un possibile divieto), cattura l’attimo fuggente della creazione artistica, è più musical e più accattivante, ma è anche (volutamente) un film patacca, ruffianissimo all’ennesima potenza, che mostra luccicanze e ombre di un’artista, colto dall’infanzia all’oggi, attraverso una lettura aerea della propria vita, sempre a distanza spettacolare, perfino ridondante nei suoi eccessi comportamentali, ma che si ritaglia attraverso la carrellata di canzoni, momenti anche toccanti, pur se facili (chi non piange ascoltando almeno “Your song”?), come quelle foto,in cui Reginald Dwight (questo il suo vero nome) è assieme al marito e ai due figli, che chiudono il film, dopo le tribolazioni di una storia consumata tra dischi di platino, alcol, droga e altro, oltre la strada dorata del successo. Piacerà a tutti. Voto: 5,5. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino