La terra e l'utopia: La terra promessa, western danese tra ossessione e crudeltà

La terra e l'utopia: La terra promessa, western danese tra ossessione e crudeltà
  Se l’uomo non avesse accettato la sfida suggerita dalla Natura e, ovviamente, dalla Storia, se l’uomo non avesse esplorato, spinto la sua curiosità,...

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Se l’uomo non avesse accettato la sfida suggerita dalla Natura e, ovviamente, dalla Storia, se l’uomo non avesse esplorato, spinto la sua curiosità, anche nell’indecenza possibile di alcuni traguardi (si pensi alla Bomba atomica, proprio al centro del pluripremiato Oscar “Oppenheimer”), cavalcato senza ragionevolezza ogni forma di utopia, probabilmente non avremmo nemmeno capito come arrivare ad accendere il fuoco. Ora “La terra promessa”, passato a Venezia, nel settembre scorso, col suo titolo originale “Bastarden”, ben più significativo, lasciando un ricordo di film dignitoso, non arriva a tanto, ma una considerazione sull’estrema tentazione di ottenere un risultato incerto, quando non impossibile, la fa.

Siamo nel XVIII secolo. Al capitano Ludvig von Kahlen, ora in congedo, viene un’idea malsana. Rendere coltivabile una zona dello Jutland danese, pratica ritenuta folle. Ha un obiettivo preciso, perché per affrontare una simile scommessa qualcosa in cambio bisognerà pure metterla sul piatto. E infatti: la richiesta non è denaro, ma l’assegnazione di un titolo nobiliare, oltre a vedere riconosciuta la proprietà, nel caso quel terreno diventasse fertile. Non prevedendo esborsi economici, il Re e la sua corte politica accettano quell’idea ritenuta soltanto bizzarra, oltre che impraticabile. Ma una volta giunto sul posto il capitano scoprirà che un nobile latifondista, in assenza totale di un controllo da parte del potere centrale, ha già deciso che quella terra inospitale è sua e a maggior ragione lo è, dovesse un giorno smettere di essere arida, anche per merito altrui. 

Il danese Nikolaj Arcel, noto soprattutto per “Royal affair” (2012), candidato all’Oscar come film internazionale e curiosamente ambientato nello stesso periodo, sceglie se vogliamo la via più facile ed evidente, per una storia di natura sconfinata e duelli umani: il western. La scelta però si rivela azzeccata, perché Arcel non trasforma il capitano in una specie di eroe della frontiera, un uomo dai nobili intenti per uno scopo universale, di popolo e di terra. Nel corso del conflitto dove si alza il tono in modo tragico, ampliandolo anche al resto della popolazione del luogo, mostra come l’animo del capitano sia esso stesso contaminato da una passione che si trasforma presto in un’ossessione irragionevole, preda di un’arroganza che rischia di mandare in frantumi il progetto, nonostante l’evidenza della sua ragione.

Ma la forza principale del film, oltre alle atmosfere di plumbea collisione tra i due contendenti e ad alcune scene di dura crudeltà, è la figura spigolosa di Mads Mikkelsen, che attraversa la storia con il suo fisico possente e battagliero, mescolando ambizione e bramosia, diritto e cocciutaggine, dove a essere tossico non è soltanto l’ambiente. Un anti-eroe per il quale non si può comunque che parteggiare. Voto: 6,5.

 

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Il Gazzettino