La ragazza senza nome: il senso di colpa è un'ossessione, ma i Dardenne sono fragili

La ragazza senza nome: il senso di colpa è un'ossessione, ma i Dardenne sono fragili
Una giovane dottoressa non apre una sera la porta a una ragazza di colore, perché sta chiudendo il suo ambulatorio. Il...

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Una giovane dottoressa non apre una sera la porta a una ragazza di colore, perché sta chiudendo il suo ambulatorio. Il giorno dopo viene a conoscenza che la ragazza è morta. Il film più opaco dei Dardenne ha una trama piuttosto pretestuosa e fa diventare il medico una specie di Poirot improvvisato, che però riesce a mettere insieme indizi importanti, anche perché nell’inchiesta dilettantesca finiscono un po’ tutti i suoi pazienti. Un film che parte dal senso di colpa e dall’esigenza di aiutare gli altri (non a caso il personaggio è un medico), ma che i Dardenne appiattiscono troppo in uno stile volutamente incolore (un loro must), cui dà una mano anche la recitazione della giovane Adèle Haenel, molto apprezzata ai tempi del piccolo gioiello “The fighters”.
I registi belgi pongono la protagonista in una sorta di percorso rivelatore al pari di quello che Marion Cotillard compiva in “Due giorni, una notte”, in un continuo, infaticabile pedinamento alla ricerca, qui della verità, lì di una prova di solidarietà. Ma la sceneggiatura tradisce le ambizioni, anche se nei vari approcci con gli altri personaggi si evolvono altri problemi, ulteriori punti di vista, che però sembrano sporadici e sorprendentemente superficiali (si vedano il rapporto con lo stagista dell’ambulatorio, con il ragazzo ammalato eccetera) e non trovano mai uno scatto decisivo, compresa anche l’ossessione della dottoressa.

Rivisto nel montaggio dopo la parziale delusione all’ultimo festival di Cannes, dove il film non è stato accolto favorevolmente (Jean-Pierre e Luc hanno già vinto in passato per due volte la Palma d’oro), “La ragazza senza nome” sposa anche meccanicamente certe soluzioni, come ad esempio il ricorso continuo a cellulari e videocitofoni, dove qualcuno cerca sempre di entrare in contatto con gli altri, quasi mai riuscendoci. La chiave di lettura di una società sorda al dialogo è evidente ed è un tema portante di tutto il cinema dei Dardenne: tuttavia qui la funzione sembra restringersi a puro escamotage narrativo, così come le tinte noir appaiono sbiadite in una azione investigativa privata, che non sembra appartenere alle peculiarità di un cinema severo ed estremamente realista, oggi francamente ammorbidito.

Stelle: 2½ Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino