La Patagonia di Bozzelli e il Carro di Garrel tra futuro da inventare e nostalgia del passato

La Patagonia di Bozzelli e il Carro di Garrel tra futuro da inventare e nostalgia del passato
Il giovane Simone Bozzelli ha talento. I suoi corti sono stati apprezzati ovunque: il bellissimo “J’ador”...

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Il giovane Simone Bozzelli ha talento. I suoi corti sono stati apprezzati ovunque: il bellissimo “J’ador” vinse la Sic a Venezia. Ora il debutto nel “lungo” perfeziona il suo sguardo sui corpi, sull’attrazione che esercitano, sui rapporti di dominazione. “Patagonia” espande la sua idea di cinema (territori, ambienti spesso malsani, gesti aggressivi), piuttosto rara in Italia, ma ne dimostra paradossalmente anche i perdonabili limiti di scrittura per un esordiente. Yuri ha 20 anni e conosce solo il mondo di casa. Con Agostino accende una sua ribellione, un desiderio di fuga e libertà, simbolicamente sintetizzata nella Patagonia, con un occhio a Fassbinder. C'è un eccesso programmatico in queste vite desolate, ma Bozzelli sa estrarne anche una sincerità di fondo, anche se non sempre sostenuta narrativamente e accentuata da alcune scelte estreme, che si fatica a ritenere necessarie. Un dubbio: tra le tante gabbie del film, si nasconde forse anche quella in cui lo stesso Bozzelli rischia di restare prigioniero. Speriamo di no. Presentato con successo all'ultimo festival di Locarno. Voto: 6,5

Una famiglia gira i paesi per raccontare ai bambini storie con le marionette. Ma il grande vecchio muore, poi anche la nonna e infine Louis, il figlio, e il suo amico, che sogna di diventare un pittore famoso, perdono la voglia di continuare quell’attività. E intorno c’è anche la ronde degli amori. “Il grande carro”, intenso ritorno di Philippe Garrel, è anche una messa in scena familiare (oltre al figlio Louis, ci sono anche Esther e Lena), un canto nostalgico a un tempo che fugge e che non è più quello di prima, ricordando che l’arte ci può salvare ancora. Tra le varie scene, quella cult è la più blasfema: Louis svita la croce dalla bara della nonna (atea) e la scaraventa altrove. Passato all'ultima Berlinale, dove Philippe Garrel ha vinto il premio per la miglior regia. Voto: 7.

 

 

 

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Il Gazzettino