La memoria e il suono: incanto e mistero nel cinema di Apichatpong Weerasethakul

La memoria e il suono: incanto e mistero nel cinema di Apichatpong Weerasethakul
“Memoria” è soprattutto un suono. Più che le immagini, arriva questo rumore sordo, che nasce da...

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“Memoria” è soprattutto un suono. Più che le immagini, arriva questo rumore sordo, che nasce da qualche parte, forse nella foresta, una specie di rantolo, che coglie il mondo nella sua dimensione più ipnotica, sospesa, prima di scomparire, mentre tutto riprende lentamente. Il regista thailandese Apichatpong Weerasethakul, ancora oggi troppo sconosciuto al di fuori dalla cerchia dei cinefili più devoti, ricordato probabilmente più per il suo cantilenante nome e meno per aver vinto a Cannes nel 2010 la Palma d’oro con “Lo zio Boonmee che si ricorda le vite precedenti”, gira per la prima volta in Colombia e sempre a Cannes si porta a casa, nel luglio scorso, un meritato Premio della Giuria. Una coltivatrice di orchidee (Jessica: la sempre magnifica e “aliena” Tilda Swinton) si reca in Colombia, a Bogotà, a trovare la sorella malata. Incontra un’archeologa e un fonico che lavora nell’ambiente della musica, ma è turbata da rumori assordanti che ogni tanto sente e che la rendono inquieta. Ma la conoscenza più importante la farà nella foresta. Il regista thailandese rielabora il suo cinema misterioso, affascinante, inafferrabile fatto di tempi dilatati (qui siamo sulle due ore e un quarto, dove succede poco o nulla), silenzi, legami con la natura, vite passate e vite aliene, cogliendo, anche qui lontano dalla sua Thailandia, un senso inestricabilmente sensoriale e spirituale della vita. La memoria attraversa le esistenze. In modo percettivo. È il legame col tempo, la capacità di distinguere ed afferrare l’essenza della vita, il suo turbarsi davanti ai fenomeni incomprensibili, magici, tra fascino e sofferenza. Non c’è tuttavia astrazione: il ricordo si fissa sempre dentro a qualcosa di concreto, si fionda tra i gesti della quotidianità. Per questo Jessica abbandona la città, cercando altrove nei luoghi più remoti, quelli più cari al regista, il senso e il significato di quel suono che quasi la tormenta. L’enigma è un enigma e come tale deve restare. Jessica si perde dentro a quella ricerca acustica, il suo viaggio per visitare la sorella si disperde, tutto diventa rarefatto. Immerso nella natura, il cinema di Weerasethakul ritrova tutta la sua forza e la sua potenza, forse più incerto nella parte iniziale più cittadina: non è una questione di formalismo estetico, non lo è mai stata. Il senso fantasmatico avvolge i personaggi e lo spettatore allo stesso modo: lo sguardo si abbandona, l’orecchio capta. Passato, presente, incanto, memoria: il cinema racchiude tutto questo in un’esperienza unica, è il subconscio che emerge, che spinge per farsi largo. Il tempo è un inciampo, come ritrovare resti umani di millenni prima, la cui eco forse è anche il riverbero di quel suono, che Jessica continua sempre a sentire. Un suono, un sogno: la vita (e la sua memoria) è fatta di niente. Voto: 7,5.

AMANTI - La francese Nicole Garcia gioca sul maledettismo di una coppia giovane: a Parigi Simon procura la droga ad amici, finché uno di questi ci resta. Scappa senza lasciare traccia e la sua ragazza Lisa cede alle lusinghe di un agiato uomo svizzero più maturo, che sposa. Tre anni dopo, in un viaggio in Madagascar alla ricerca di un bambino da adottare, Lisa ritrova casualmente Simon, che fa l’operatore turistico. I due diventano così amanti e a Ginevra dove il trio si sposta successivamente, Simon e Lisa tentano di nuovo di tornare insieme. Tragedia imminente. Né thriller, né noir, “Amanti” mette in mostra corpi e atmosfere inghiottiti da una regia che non crea mai tensione, nemmeno nello scontro tra i due uomini. Voto: 4.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Il Gazzettino