L'umanità di Aki Kaurismäki: siamo come foglie al vento, poesia degli umili

L'umanità di Aki Kaurismäki: siamo come foglie al vento, poesia degli umili
Come si fa a non...

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Come si fa a non voler bene a un regista come Kaurismäki? Forse non c’è un altro autore che provi un amore compassionevole per i propri personaggi, sempre borderline, ai margini della società, disoccupati, in fuga da territori ostili. E al tempo stesso un regista così politico, che usa lo straniamento e la funzione surreale della banalità quotidiana come riscatto poetico, rivalsa sociale, surrogato di felicità. Vive di personaggi soli il suo cinema. Non solitari. Soli. Lasciati soli da una società senza affetto. A distanza di ben 6 anni dal suo precedente “L’altro volto della speranza”, miglior regia a Berlino nel 2017, il regista finlandese con “Foglie al vento”, premio della Giuria a Cannes 2023, racconta l’incontro struggente di solitudini irreparabili. Lei lavora in un supermercato, ma rimane presto licenziata, perché si è portata a casa un prodotto alimentare scaduto, che comunque nessuno avrebbe mai potuto comprare; lui, incline più alla bottiglia che alle mansioni lavorative, fa la stessa fine. Abbandonato ogni ormeggio lavorativo e quindi anche economico i due s’incontrano, vanno al cinema, si scambiano i numeri per richiamarsi, ma poi puntualmente li perdono. Infine nella consueta atmosfera malinconica, quasi straziante nella desolante, cupa quotidianità, i due riescono finalmente a ritrovarsi e andare via insieme come faceva Charlot, perché tutte le storie di questo tipo partono sempre da lì. Forse può sembrare poco, forse il minimalismo di questo autore rischia di diventare un po’ manieristico, che dopo quarant’anni di carriera ci potrebbe anche stare, ma non è così. L’amore per il cinema è in ogni inquadratura, gli omaggi si sprecano (folgorante la battuta su Bresson e Godard, dopo la visione di “I morti non muoiono” di Jarmusch), l’incanto, anche per un film esile e dalla trama più semplice rispetto ad altri, resta quindi intatto. E quindi: come si fa a non amare un regista come Kaurismäki? Perché per raccontare esistenze così trasparenti per la società, non ci gira attorno a lungo, non ne fa un manifesto esplicito. Va all’essenza del dramma, lo avvolge con delicatezza nei suoi sviluppi insensati e disincantati, non si perde in chiacchiere, anzi il film a tratti è lungamente muto, perché parlano le facce, gli ambienti, le situazioni. E poi vanta un pregio imbattibile: il tutto dura meno di un’ora e mezza, che di questi tempi sembra quasi una provocazione. “Foglie al vento” ha un titolo già simbolico, mostra l’instabilità di una umanità che nessuno sembra volere. E adesso che siamo nel 2024 (come il film ci avvisa in anticipo) e la radio informa sulla guerra russo-ucraina, mentre tutto sembra andare in rovina, forse non ci resta che il cinema. Di Kaurismäki senz’altro. Voto: 7,5.

 

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Il Gazzettino