Il gap tra Sudafrica e rugby italiano: cosa ci manca per essere un po' meno lontani

Il gap tra Sudafrica e rugby italiano: cosa ci manca per essere un po' meno lontani
 Testuale: «Non siamo lontani chilometri». Così il ct azzurro Jacques Brunel dopo la sconfitta contenuta contro il Sudafrica (6-22). Sabato a Padova le distanze non sono state...

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 Testuale: «Non siamo lontani chilometri». Così il ct azzurro Jacques Brunel dopo la sconfitta contenuta contro il Sudafrica (6-22). Sabato a Padova le distanze non sono state siderali. Ma il gap resta enorme. Altroché. Forse è una buona idea quella di Brunel di prendere come riferimento i migliori al mondo, può servire a rimontare sugli altri che stanno dietro. A patto che si metta mano davvero alle nostre lacune. Dopo un’ora di sacrificio e tenuta l’Italia è scoppiata pur contro una squadra molto stanca giunta al termine di una stagione australe sempre più impegnativa. Ecco, bisognerebbe pensare seriamente alla dimensione fisica e atletica: cosa serve per superare gli Springboks nel combattimento e a livello di corsa? Per sfidarli nel ripiazzamento e in rapidità, nella precisione nei passaggi? Perché è qui uno dei grandi problemi. Seconda questione: il calo italiano è coinciso con i cambi. Le mete sudafricane sono state propiziate da giocatori entrati dalla panchina: il break monumentale di Carr, il contrattacco di Pollard e Le Roux allo scadere. Freschezza e talento. La nostra riserva di giocatori non è così ampia e non è di quella qualità media. Se la base dei praticanti sudafricana è quasi 5 volte quella italiana si può pensare che per ogni 3 talenti italiani ce ne siano 15 sudafricani. Il fatto è che questo rapporto sembra già ottimistico per l’Italia. Perché i numeri non spiegano tutto. C’è di mezzo la qualità della formazione, l’organizzazione del sistema, la cultura. Si potrebbe continuare con le differenze. Ma basterebbe rispondere alle prime due questioni e il Sudafrica ci apparirebbe molto più umano. (Toni Liviero)
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Il Gazzettino