Il cielo brucia, il cinema si infiamma Petzold e la gioventù d'oggi: grande film

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Non che non fosse chiaro da tempo, ma “Il cielo brucia”, Gran Premio della Giuria all’ultima Berlinale, conferma il talento del regista tedesco Christian Petzold, oggi tra i più lucidi a captare e mettere in scena le contraddizioni di una società, diciamo anche di un’Europa, che fatica a trovare punti di riferimento o a confonderli se li trova, a cominciare sul come affrontare le varie tematiche più urgenti della convivenza. “Il cielo brucia”, all’apparenza, è un film tanto semplice, quanto stratificato, che indaga sulle aspettative dei giovani di oggi e sulla loro capacità di rapportarsi a esse, nonché sulle dinamiche interpersonali. Qui siamo sulla costa baltica, a nord della Germania, dove due amici cercano un po’ di vacanza e tranquillità in una casa isolata, entrambi impegnati: uno a chiudere un romanzo che fatica a ingranare, l’altro a dare vita a un portfolio di fotografie sul rapporto tra il corpo e la natura. All’arrivo però trovano la villetta occupata da una ragazza, che intrattiene anche una fugace relazione con un altro coetaneo, che svolge attività di bagnino in spiaggia. I quattro trascorrono qualche giorno assieme. Leon sembra quello più appartato del quartetto, perché fatica a trovare lo stimolo per condividere la vita quotidiana di una vacanza e sente una superiorità intellettuale rispetto al gruppo: in crisi col suo romanzo, il mondo gli crollo addosso e quando arriva il suo editore per fare il punto, il verdetto è sconfortante. Nel frattempo gli amori si intersecano, anche nella maniera più inaspettata, e il luogo è minacciato da un grande incendio che avanza. Petzold affronta una “falsa” commedia sentimentale, per depistarla verso il tema contemporaneo dell’uomo e il mondo che lo circonda, non solo nei confronti dell’arte. Sospeso tra scene divertenti e momenti di grande sconforto, in una leggerezza di fondo che sente l’avvicinarsi di una tragedia, che alla fine lascerà il segno, il film mostra come la capacità di Leon di scrivere muterà soltanto quando finalmente guarderà in faccia il mondo, proverà a entrarci dentro e non lo immaginerà soltanto, non solo davanti alla tragedia, in un finale metalinguistico dove la parola diventa immagine. La morale del film sta dunque nel sapere affrontare la vita e non eluderla, nell’aprirsi agli altri e non nel nascondersi o infastidirsi, lasciare emergere i propri desideri e allentare i conflitti. Accantonata la complessità dei recenti “La donna dello scrittore” e “Undine”, “Il cielo brucia” ha una immediatezza e una profondità di sentimenti rare, anche grazie a interpreti convincenti, a cominciare dalla sempre bravissima Paula Beer, mentre il brano “In my mind” dei Wallners che apre e chiude il film è pronto a diventare un tormentone. Voto: 7,5.

 

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Il Gazzettino