È davvero vera Gloria? Probabilmente no Il piano delle donne riesce anche a stonare

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Negli ultimi mesi diversi sono stati gli esordi di giovani registi italiani, che hanno tracciato percorsi personali già evidenti e poco allineati a uno stile convenzionale. Molti di questi, tra quelli più interessanti, sono stati puntualmente dimenticati dalla pigrizia, diciamo così, dei giurati per le nomination dei prossimi David, che hanno preferito debutti alla regia di attori più o meno famosi, di certo non particolarmente originali, ma decisamente consolidati. Al netto di queste valutazioni, anche Margherita Vicario appartiene al gruppo più stimolante dei novizi, anche se il risultato non è tra i più felici, nonostante la materia trattata sia quasi incandescente. Passata in Concorso all’ultima Berlinale, e dedicato a tutte le giovani musiciste che all’epoca furono soffocate dal potere, anche artistico, dei maschi, “Gloria!” (a cui non andrebbe perdonato almeno l'uso dell'esclamativo) racconta la storia di Teresa, una giovane domestica, soprannominata La Muta (una efficace Galatéa Bellugi), che un giorno scopre, nel convento femminile veneziano dove è ospitata, un pianoforte, che desta la sua passione quasi travolgente per la musica. In assenza delle parole, è proprio questa a compiere l’atto della sua comunicazione col mondo. Dopo aver convinto un gruppo di ragazze orfane a seguirla nella sua creatività, in nettissimo anticipo col tempo (siamo tra fine '700 e inizio '800), l’occasione dell’arrivo del Papa, con l’inevitabile concerto in suo onore, fa sorgere un’inaspettata conflittualità tra padre Perlina (un Paolo Rossi fin troppo viscido) e la stessa cameriera, ormai leader del gruppo musicale delle giovani donne, visto che il prelato è in crisi assoluta di ispirazione. Ma non è detto che tutta questa modernità risulti apprezzata dalla Chiesa, nonostante Romeo, il factotum del convinto, gestito con sornione adesione da Elio, sia dalla loro parte. C’è aria di ribellione, c’è come già detto un buon motivo per ribaltare il dominio maschile anche nei valori estetici del mondo (il canone stantio del prete, ma forte della sua identità di genere, contro l’arrembante, provocatoria libertà musicale delle ragazze), c’è un’esuberanza di fondo che potrebbe ricordare le incursioni pop di Sofia Coppola con la sua Marie Antoinette (si veda la bella sequenza iniziale della “costruzione” musicale attraverso gli oggetti). Insomma: all’apparenza c’è molta materia per restare ammaliati e ritenere il film un’opera puntuale sui tempi e sulle sue urgenze attuali, dove l’irruenza sui tasti del pianoforte fa sloggiare la polvere del tempo e l’ottusità degli uomini. Ma in tutto questo purtroppo il cinema fatica a respirare, la scrittura incide ben più delle immagini e lo sviluppo narrativo è più semplicistico che complesso, giocando soprattutto sulle più evidenti opposizioni, spesso di stereotipi, mostrando come il gioco della favola a tesi si neutralizzi nella sua stessa ridondanza. Voto: 5,5.

 

 

 

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Il Gazzettino