«Preparalo, come per un concorso». O'Dooley, vecchio e malato, era fuori, nel prato. Aveva la sua coperta, la sua capannetta, ma era infinitamente triste. Ancora...
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«Preparalo, come per un concorso», dice l'istruttore. Parte lesta la ragazza, va a prendere O'Dooley nel prato, in quel giorno torvo e grigio. Lo lava con dolcezza, lo asciuga, lo striglia bene. Lo mette in un box luminoso col truciolo tenero e il fieno profumato e fresco. O'Dooley si guarda intorno, soddisfatto. Gli piacciono tanto quelle cure, quanti bei ricordi C'è un bel tepore e la luce e gli altri cavalli e i suoni familiari. Il profumo del fieno è ancora più buono. Il cuore è contento, ma le gambe non rispondono più. Con fatica si stende. «Guarda che O'Dooley non è più nel prato, è nel box in fondo», mi dice la ragazza quando la incontro perché lo sto cercando. Mi illudo per un attimo, quando lo vedo. Così pulito, col pelo brillante e lucido, è ringiovanito. E' ancora così bello, penso. Non può essere il suo ultimo giorno. Il bel muso intelligente mi guarda intenso. E' sdraiato, ora. Non riesce ad alzarsi. Ha capito. Mi accuccio e gli porgo gli zuccherini, le mele, le carote, il fieno. Intanto lo accarezzo piano piano. È lui che mi sorprende, ancora una volta. Pian piano, con gentilezza per non farmi male, lui che è così grande, appoggia la testa sulle mie ginocchia. «Fammi ancora una carezza», sembra mi dica. Lo sguardo è intenso.
Lascio andare il tempo. Il suo respiro diventa lento e profondo, quasi un sospiro. Si abbandona, con la stessa fiducia, fatta di amore e nostalgia, che ho sentito in mia madre quando mi è morta tra le braccia. Mi scorre tra le mani la stessa commozione, mentre sento la tristezza irreparabile di un altro addio. Ha capito. Non sarà un concorso. È arrivato il momento di portarlo in clinica. Si alza con fatica, lentamente va verso il trailer. Prima di salire, guarda un'ultima volta la scuderia. E lancia un nitrito, basso e lungo. La voce di O'Dooley, sempre così calma, dice qualcosa di particolare, di speciale. Tutti i cavalli alzano la testa attenti. E nitriscono. Un brivido ci prende. Non succede mai. Tutti gli hanno detto addio, in quel giorno grigio e senza più tempo. Addio O'Dooley. Un ultimo zuccherino e una sedazione serena, senza più dolore.
Penso che tutti dovremmo morire così, accompagnati, con una carezza dolce e un sospiro. Non soli e disperati nelle rianimazioni. Forse dovremmo avere le stanze affettuose degli addii, anche negli ospedali. Come a casa, per chiudere gli occhi abbracciati a chi ci ama. Se Dio esiste, e avrà misericordia, forse mi farà ritrovare anche i dolci cavalli che ho amato, per correre e ridere felici, nelle immense praterie dell'infinito. Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino