C'era una volta Ennio: quante emozioni nel documentario di Tornatore

C'era una volta Ennio: quante emozioni nel documentario di Tornatore
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La grande forza del film sta ovviamente sulla presa emotiva che lo stesso Morricone alimenta, grazie alle sue spiegazioni che si fanno didattica e sembra di essere a volte dalle parti dell’intervista di François Truffaut ad Alfred Hitchcock in uno dei libri più importanti e famosi su un autore che ha fatto la storia del cinema, perché al pari del grande regista, anche Ennio (come invita confidenzialmente il titolo) offre chiavi di lettura, complesse e al tempo stesso esposte in modo semplice, allo spettatore meno esperto, così da capire tutta la sua grandezza. Per questo diventa a tratti entusiasmante cogliere la genialità di un trombettista diventato nel tempo talentuoso arrangiatore di canzoni, con invenzioni tra i decenni ’50-‘60 che hanno fatto scuola, e successivamente destinato alle colonne sonore con altrettanto sorprendente clamore, nonostante gli studi eccellenti al Conservatorio ne facessero presagire un futuro nell’ambito ristretto della musica classica. Da questo punto di vista la presa del film di Giuseppe Tornatore è innegabile. Nemmeno la durata che tocca le due ore e mezzo rappresenta un freno: quando il film finisce, vorresti ascoltare ancora la sua voce, vorresti ancora ripassare una carriera straordinaria, mentre sullo schermo scorrono grandi sequenze (certo quelle celeberrime dei film di Sergio Leone, ma anche le altre mille collaborazioni), con quelle musiche che abbiamo da sempre in testa. Morricone, scomparso quasi due anni fa, non è solo il costruttore di indimenticabili temi musicali, a cominciare da “C’era una volta il West”, ma anche il musicista “rumorista” per eccellenza: come non ricordare “Il barattolo” di Gianni Meccia da dove tutto iniziò nel mondo delle canzonette, o il festoso bric-à-brac nelle eccellenti idee per il cinema, non solo western, quando anche un colpo di frusta e il rumore di una pistola arricchiscono architetture melodiche? Il lavoro di Tornatore, tra i registi che più si sono serviti della sua musica, è stato paziente, durato un tempo notevole. Ne è uscito un documentario molto intimo, mai così personale, a volte sorprendente (la ginnastica iniziale, per esempio), dove le figure principali (la moglie Maria, il maestro Goffredo Petrassi) affiorano nella loro importanza per un artista diviso tra la musica colta e quella commerciale, dualismo fonte spesso di perplessità del mondo accademico. Quello che non convince nel documentario è semmai la carrellata di “ospiti” illustri, il bisogno di sentire affermare la grandezza dell’artista in modo spesso banale, diciamo anche inutile. Sono tanti, troppi e solo alcuni interessanti. Ma il senso di una vita artistica formidabile resta intatto. C’era una volta Morricone. E in realtà c’è ancora. Voto: 7

 

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Il Gazzettino