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È morto a 82 anni, li avrebbe compiuti lunedì, Carlo Bruzzone. Un tumore al pancreas se l’è portato via in due mesi. Oggi la sua Genova gli ha dato l'addio con i funerali.
Bruzzone, molto conosciuto anche a Rovigo e nelle altre città ovali del Veneto, era il decano dei giornalisti di rugby italiani con i suoi 234 caps in test-match ufficiali della Nazionale. Li aveva iniziati con Italia-Spagna 12-0 il 6 maggio 1951, quando era ancora uno studente 17enne, e li esibiva orgogliosamente in ogni occasione alle partite. Mostrando una lista, scritta a penna in bella calligrafia, dov’erano elencati uno a uno. Per questo i colleghi più giovani gli avevano regalato nel 2015 un berrettino azzurro, come quelli dati dalla federazione ai nazionali, a Parma in occasione della festa per gli 80 anni di Giancarlo Dondi.
Una delle ultime uscite di Bruzzone è avvenuta proprio a Rovigo, in ottobre, in occasione della consegna dei premi Ciar, il Club italiano amatori rugby di cui era uno dei fondatori. Infatti oltre che giornalista, è stato giocatore (seconda linea), arbitro, dirigente, grande istrione e soprattutto tifoso sfegatato della Nazionale. Capace di arrabbiarsi con l'arbitro anche nel 101-0 subito dall'Italia a Durban nel 1999 contro il Sudafrica (unico giornalista al seguito insieme a me, a nostre spese), o di piangere come un bambino (a 77 anni allora) abbracciando i colleghi nel 2011 al fischio finale della prima clamorosa e insperata vittoria nel Sei Nazioni dell'Italia contro la Francia, 22-21 il risultato.
Era uno che con questi atteggiamenti e la sua esuberanza ti riempiva la partita (e la vita) se la vivevi al suo fianco. Ciao Bruzz, mancherai a chi ha avuto la fortuna di conoscerti, ma soprattutto al rugby. (Ivan Malfatto) Leggi l'articolo completo su
Il Gazzettino