Berlinale 73, giorno 5. Poca luce in Concorso nemmeno la Golda di Helen Mirren brilla

Berlinale 73, giorno 5. Poca luce in Concorso nemmeno la Golda di Helen Mirren brilla
Giornata variabile sullo schermo: pochi sussulti, spesso noia. Il Concorso procede in una medietà poco allettante, tra grandi coralità. ...

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Giornata variabile sullo schermo: pochi sussulti, spesso noia. Il Concorso procede in una medietà poco allettante, tra grandi coralità.

TOTEM di Lila Avilés (Concorso) – È il compleanno di Tona, un giovane artista affetto da male incurabile. Amici e parenti, compresa la piccola figlia che desidera insistentemente di vedere il padre prima della festa, gli stanno accanto. Un concerto di voci, quasi sempre al femminile: i maschi o sono moribondi come il protagonista o come il nonno per parlare devono avere mezzi che ne amplificano la voce. Lila Alivés si destreggia con cura attraverso le continue chiacchiere, che scavano nel solco della vita. Ma il film dà la sensazione di un già visto consolidato, una coralità che si nutre delle parole, ma che non lascia quasi mai respiro. Voto: 5,5.

LE GRAN CHARIOT di Philippe Garrel (Concorso) – Una famiglia che gira i paesi per raccontare ai bambini storie con le marionette. Ma il grande vecchio muore, poi anche la nonna e infine Louis, il figlio, e il suo amico, che sogna di diventare un pittore famoso, perdono la voglia di continuare quell’attività. E intorno c’è anche la ronde degli amori. Il ritorno di Pihilippe è anche una messa in scena molto familiare (oltre a Louis, ci sono anche Esther e Lena), in un film che non aggiunge nulla alla sua cinematografia, ma si fa vedere sempre con il medesimo piacere. Tra le varie scene, quella cult è la più blasfema: quando Louis svita la croce dalla bara della nonna (atea) e la scaraventa altrove. Voto: 6,5.

GOLDA di Guy Nattiv (Special) – I giorni cruciali della guerra del Kippur del 1973 vissuti attraverso la protagonista dell’epoca, Golda Meir, la donna israeliana che seppe tenere testa agli uomini che avrebbero voluto cancellare Israele. Una figura complessa qui forse troppo sbrigativamente ridotta quasi a maschera, che salva almeno un impianto debole grazie alla consueta straordinaria prova di Helen Mirren. Se Liev Schreiber dà al suo Kissinger il gelido calcolo dell’uomo di Stato di una grande potenza, il resto del film semplifica molto una figura e una situazione assai complessa e complicata, con spunti anche da commedia quando Golda obbligo Kissinger, anche lui ebreo, a mangiare la celebre zuppa di barabietole, chiamata borsch. Voto: 5.

 

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Il Gazzettino