Partita la Berlinale, tra sussulti di novità (vera?), difficoltà logistiche (vere) e patemi (purtroppo veri, specie dopo le ultime notizie dall’Italia). Un...
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VOLEVO NASCONDERMI di Giorgio Diritti (Concorso) – La vita del pittore Antonio Ligabue, dalla sua infanzia già travagliata in Svizzera, fino alla sua esuberanza artistica a Gualteri, in Emilia. Diritti pone di nuovo in campo la conflittualità tra il singolo e la collettività, ma è indeciso su quale strada veramente scegliere, tra la follia, la creatività e l’affresco contadino di una realtà quotidiana tra le aie e i tortellini. Elio Germano dà prova equilibrata, sfiorando la caricatura, ma uscendo sempre in piedi. A tratti un biopic emozionante, ma nel modo più evidente, mai con una radicalità dello sguardo che avrebbe dato all’operazione un senso più necessario. Voto: 5,5.
MY SALINGER YEAR di Philippe Falardeau (Special)– Nella New York anni ’90 arriva la giovane Joanna, aspirante scrittrice, che cerca un futuro nella Grande Mela letteraria. Diventa assistente di Margaret, agente di Salinger, da tempo votato alla clausura sociale. Il suo compito è quello di rispondere alla moltitudine di lettere, che arrivano quotidianamente dai fan dello scrittore. Film d’apertura della Berlinale, firmato da Philippe Falardeau, è un racconto grazioso, carino, ma anche piuttosto inconcludente sulla scrittura, sulla voglia di realizzare i propri sogni e di emergere in campo letterario; ma Margaret Qualley si ferma all’esibizione della sua bellezza con sorrisi sfiancanti, il resto del cast si adagia nella routine e solo Sigourney Weaver dà un po’ di ebbrezza attoriale. Voto: 5,5.
MALMKROG di Cristi Puiu (Encounters) – In una lussuosa dimora della Transilvania, chiamato Malmkrog (oggi Mălâncrav) alcuni aristocratici discutono su moralità, coscienza, religione, Anticristo, progresso, morte e resurrezione. Un kammerspiel filosofico che il rumeno Cristi Puiu dilata per quasi tre ore e mezzo, in un verboso e ininterrotto flusso di temi esistenziali, politici e sociali, dividendo il film in vari capitoli, ognuno dei quali dedicato a uno degli ospiti. Affascinante e indiscutibilmente faticoso, tesissimo nella sua rappresentazione teatrale, dove la chiusura al mondo esterno rappresenta forse l’incapacità di affrontare sul serio la vita, conferma la grandezza di uno dei registi più teorici in circolazione, la cui messa in scena è esemplarmente rigorosa e potente e il fuoricampo è essenziale alla dinamica della (non) azione. Occhio alla sparatoria che chiude la prima parte, che induce a riletture temporali o a una rappresentazione della morte/resurrezione dell’impianto teatrale (oltre che dei protagonisti). Da rivedere senz’altro lontano dai festival. Film d’apertura della neonata sezione Encounters. Voto: 8.
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Il Gazzettino