"Air", il sogno oltre le scarpe: il fattore umano fa la differenza

Matt Damon in "Air" di Ben Affleck
Una scarpa «è solo una scarpa finché qualcuno non ci mette piede». E se quel piede è di Michael Jordan, la scommessa è vinta in partenza,...

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Una scarpa «è solo una scarpa finché qualcuno non ci mette piede». E se quel piede è di Michael Jordan, la scommessa è vinta in partenza, basta chiederlo a qualsiasi ragazzino che sogna le “Air Jordan” sin da quando mette piede a scuola. Quelle scarpe sono davvero il risultato di un sogno diventato realtà grazie all’intuizione di un uomo pronto a scommettere tutto sulla propria visione. Un’intuizione contro le logiche aziendali, contro i numeri, i cda da convincere, le regole del business.

Ben Affleck torna alla regia con “Air” richiamando sul set l’amico di sempre Matt Damon (insieme vinsero l’Oscar per la sceneggiatura originale di “Will Hunting”) cui affida il cuore pulsante del suo film, la figura del visionario e imbolsito manager Sonny Vaccaro, e lo segue nella contrattazione con la madre del campione, Doloris (Viola Davis), e con il guru delle Nike Phil Knight (lo stesso Affleck, che costruisce un ritratto ironico e affettuoso), punto focale e drammaturgico, ma anche chiave simbolica della storia. Al cui esito, pur risaputo, si arriva passo dopo passo, in un crescendo emotivo che Affleck dosa con cura, proprio come nel suo film Oscar “Argo” del 2012: al centro, in fondo, non c’è soltanto un accordo che ha fatto la storia dello sport, del marketing e del commercio mondiale, ma c’è anche la storia dello stesso Jordan, che diventa icona dentro e fuori dal campo, ottenendo - e questa fu una svolta storica - una percentuale sulla vendita degli articoli venduti.

L'AMBIENTE

Affleck ricostruisce con cura maniacale toni, colori e iconografie degli anni Ottanta, sin dagli scoppiettati titoli di testa, un’epoca fatta di vhs, telefoni con il filo, computer con sfondi verdi, e si incolla a volti, corpi e al suo bel gruppo di attori (dalla Davis col marito Julius Tennon a Jason Bateman, Chris Tucker, Chris Messina) capaci di dare corpo e spessore ai loro personaggi, alle loro emozioni, a tensioni e silenzi, ma soprattutto ai tanti dialoghi che rendono il film così attuale nonostante sia ambientato nel 1984. Perché “Air”, alla fine, non parla soltanto di scarpe, di sport, di business o di concorrenza tra Adidas, Converse e Nike, ma perimetra i confini di un nuovo “sogno” americano, fatto di anima, cuore e testa, tanto più oggi, in un’epoca di capitalismo feroce ostaggio di numeri, quotazioni in Borsa e algoritmi.

È la scommessa di un’azienda che sta crescendo, proprio come il suo campione (che nel film compare solo di spalle), e che decide di fidarsi puntando su un’umanissima intuizione figlia comunque di competenze e lungimiranza. Un’azienda che esce dai binari freddi del business, magari infrangendo qualche regola del “savoir faire”, ma che mette al centro del rapporto con la famiglia Jordan non tanto un freddo contratto, sia pur vantaggioso, quanto il proprio essere, la propria verità, e l’interesse reale per il percorso futuro dell’atleta, che sarà sì sportivo o economico, ma anche umano. Ed è anche la storia di un bel team di amici-colleghi che si misura con coraggio sulle proprie scelte e sulle conseguenze di queste decisioni, comprendendone rischi e implicazioni. Pure queste molto umane. Un miracolo, oggi. 

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Il Gazzettino