74 Cannes giorno 1. No, no, Annette meglio l'eutanasia "leggera" di Ozon

74 Cannes giorno 1. No, no, Annette meglio l'eutanasia "leggera" di Ozon
Il festival della rinascita e della ripartenza è anche il festival dell’ansia, del volere a tutti i costi tutto...

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Il festival della rinascita e della ripartenza è anche il festival dell’ansia, del volere a tutti i costi tutto per ribadire di essere sempre i più grandi, un festival bulimico di film e di protocolli, di tamponi, di mascherine, ma anche di tutti i posti in sala occupati. Un festival da (ri)vivere pericolosamente. Intanto sullo schermo i film vanno, ignari di tutto quello che succede attorno.

ANNETTE di Leos Carax (Concorso – Film di apertura) – Un musical, ma senza balli, un melò, ma raggelato dentro un’architettura invadente, scoppiettante, irrefrenabile, come sempre esagerata. Carax non delude se stesso probabilmente, ma spacca sempre la resistenza e il giudizio del pubblico. I francesi già gridano al capolavoro (lo fanno spesso con i loro film e qui ne hanno a iosa, ben 8 solo in Concorso), ma bisognerebbe rimanere calmi. Una cantante lirica (Ann), Henry intrattiene il pubblico con i suoi spettacoli che strappano risate continue. Solare lei, lunare lui. Opposti. Si incontrano, si amano, nasce Annette, una bambina-Pinocchia, lei muore. Poi salta fuori un terzo incomodo, che forse c’entra qualcosa con la nascita di Annette, che è anche un simbolo. Carax ragiona sempre sulla messa in scena, ne fa un caos di situazioni e immagini, va spavaldamente sempre oltre. Non si accontenta mai. E in mezzo a tutto questo caos, cerca-trova-e forse disperde il suo cinema. Belle le canzoni (specie il duetto finale), bravissimi (a cantare) Marion Cotillard e soprattutto uno strepitoso Adam Driver (già apprezzato sullo schermo come cantante). Il mondo dello spettacolo, la paura di andare in scena, la sensazione di onnipotenza sul palco e fuori. Tutto è tanto. Decisamente troppo. Vincono sempre le architetture: se le togliete forse non la profondità non è così profonda. Voto: 5.

TOUT S’EST BIEN PASSĖ di François Ozon (Concorso) – Emmanuelle, scrittrice, è informata che il padre ha avuto un ictus ed è grave in ospedale. Al capezzale arriva anche la sorella, non altrettanto amata dal genitore, e il compagno. Una famiglia intellettuale. L’anziano genitore recupera ma esprime un desiderio: voler morire, perché ormai la vita gli sta togliendo tutto. Ma non si può. L’unica scelta è andare in Svizzera. Ozon affronta il tema divisivo dell’eutanasia depistando il dramma in una commedia, a tratti perfino esilarante. Sembra al solito più leggero di quello che è: qui tra una battuta e l’altra rielabora il tema che non si è del tutto liberi di scegliere la propria vita (la sospetta omosessualità del vecchio genitore) e la propria morte. Ozon fa un film dietro l’altro, con effetti inevitabilmente discontinui, ma anche quando sfodera uno stile classico e una messa in scena più convenzionale, trova sempre il modo per farsi apprezzare, anche nel finale. Bravissimi tutti sullo schermo: Dussolier, Marceau, Rampling, Schygulla. Voto: 6,5.

AHED’S KNEE di Nadav Lapid (Concorso) – Un regista israeliano si reca nel deserto di Arava per proiettare un suo film. Avvicinato da una giovane funzionaria del Ministero della cultura, con la quale sembra avere una forte attrazione, scopre in realtà che la sua presenza nasconde altro. Lapid, dopo l’Orso d’oro conquistato con “Synonimes” torna con forza a criticare il governo israeliano e nel frattempo rielabora il lutto della madre (che nel film riceve telefonate dal regista, senza che noi ne sentiamo la voce). Un film duro, come sempre spiazzante, dallo stile tellurico e quasi violento, disturbante e politicamente preciso. Non sempre tutto è necessario, e forse il lato metacinematografico è risaputo, ma è un film coraggioso, che si permette anche un monologo febbrile notevole. Voto: 6,5.

 

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Il Gazzettino