69 Berlinale, giorno 2: nel giorno dei bambini soltanto Ozon lascia un segno importante

69 Berlinale, giorno 2: nel giorno dei bambini soltanto Ozon lascia un segno importante
Giorno dedicato all’infanzia. Bambini difficili, con gravi problemi psicologici e bambini violati, con altrettanti risonanze drammatiche. E sugli schermi due film...

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Giorno dedicato all’infanzia. Bambini difficili, con gravi problemi psicologici e bambini violati, con altrettanti risonanze drammatiche. E sugli schermi due film dall’esito totalmente opposto.


GRÂCE À DIEU di François Ozon (Concorso) – Un boy-scout vittima durante un campo estivo dell’attenzione sessuale di un prete e oggi padre di famiglia a Lione con 5 figli e cattolico praticante, decide finalmente di rendere nota questa violenza di un tempo alle autorità ecclesiastiche, sperando di ottenere l’allontanamento del prelato, adesso importante figura della Chiesa. Sull’onda di questa denuncia, altri adolescenti escono allo scoperto, dando vita a un gruppo solidale per portare il caso anche a livello giudiziario. Traendo spunto da un reale fatto di cronaca di qualche tempo fa (e non ancora concluso), Ozon costruisce un’architettura complessa, in una narrazione che affronta, nell’oggi, tre storie (divise per blocchi) di quei ragazzi di allora, dove ognuno porta i segni di quell’infelice disavventura. Con un costante spostamento dello sguardo (dall’inizio epistolare agli inserti delle vite familiari odierne), Ozon ha il pregio di non appoggiarsi a una tesi di colpevolezza, tra l’altro talmente evidente (non è un film a tesi), ma di ampliare il raggio delle responsabilità, mostrando come chi ha taciuto per vergogna o omertà (ragazzi, familiari, Chiesa eccetera) sia comunque in qualche modo altrettanto imputabile per concorso di colpa, perché il silenzio ha alimentato pratiche simili. Nel finale, dove il pessimismo descrive la solitudine delle vittime, Ozon, che opportunamente sottolinea come omosessualità e pedofilia siano due cose totalmente diverse, scioglie ogni disillusione, grazie anche a una sceneggiatura calzante e a prove attoriali notevoli. Un film classico, forte e coraggioso, che si candida all’Orso. Voto: 7,5.
SYSTEM CRASHER di Nora Fingscheidt (Concorso)
– Benni è una ragazza problematica. Sprovvista di qualsiasi equilibrio, sfoga la sua rabbia di vivere in improvvise esplosioni violente, verbali e fisiche. Assegnata a un educatore, dopo ulteriori fallimenti di recupero, e abbandonata dalla madre, che solo saltuariamente si fa viva, Benni non riesce a trovare una sua collocazione emozionale e sociale misurata, fino all’ultima ribellione. Naufragio di un film che per descrivere le pulsioni isteriche di una bambina si fa altrettanto isterico, con improvvise detonazioni sonore (la colonna sonora tellurica, la camera a mano ansiosa), costruendo un percorso ripetitivo, dove si susseguono, senza un reale avanzamento della storia, i momenti più delicati a quelli più drammatici. Non privo di evidenti incongruenze narrative, denuncia una costruzione a effetto, per colpire e stordire lo spettatore, che non riesce nemmeno a trovare un minimo di empatia per la bambina. Voto: 3.

HELLHOLE di Bas Devos (Panorama)
– In una Bruxelles dalla odierna fragilità politica e dove la convivenza multietnica pone dei problemi sociali, alcune persone cercano di trovare il proprio posto. Bas Devos applica il suo estremo rigore estetico anche al suo secondo film, dopo avere fatto la fortuna con l’opera di esordio, il bellissimo “Violet”. Ma purtroppo questa smania di ambiziosa autorialità dimostra come sia un errore applicare una storia alla propria estetica e non viceversa. Così da una vicenda personale e misteriosa a una narrazione sociale e politica, mantenendo quello sguardo sfuggente sulle cose, privilegiando i particolari, la profondità di campo e il fuori campo (si veda l’ennesima citazione antonioniana nel lunghissimo piano sequenza del carrello circolare attorno alla casa) dà un risultato a tratti noioso e fastidioso, sul filo dell’arroganza, che purtroppo disperde uno sguardo attento e talentuoso. Un film del tutto cerebrale (si notino anche i titoli di coda), senza un minimo di anima. Tra gli interpreti, anche Alba Rohrwacher, una traduttrice al Parlamento europeo, purtroppo l’unica della quale si avverte la recitazione. Voto: 5.
 
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Il Gazzettino