LAND di Babak Jalali (Panorama) – La famiglia indigena Denetclaw vive in una riserva indiana negli Usa. La loro vita si snoda nella noia quotidiana tra alcol e deserto. Uno...
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SEASON OF THE DEVIL di Lav Diaz (Concorso) – Negli anni ’70 il controllo militare opprime i villaggi della giungla filippina. La coraggiosa dottoressa Lorena è osteggiata dai soldati, suo marito arriva in zona quando la ragazza scompare. A sorpresa Lav Diaz gira un anti-musical, dove i dialoghi diventano canzoni eseguite a cappella: l’effetto si fa strada facendo straniante (anche per le interpretazioni canore), ma il film è raggelato, più che in passato, in questa forma di sospensione (inquadrature fisse, interpreti quasi sempre fermi come in quadro), pagando anche una ripetitività noiosa; e pur avendo stavolta una durata inferiore al solito (siamo sulle 4 ore), il tempo sembra paradossalmente più lungo e ingiustificato. Meno poetico e sconvolgente rispetto ai lavori precedenti, Diaz sfrutta un’idea e la sfinisce. Voto: 5,5.
DON’T WORRY, HE WON’T GET FAR ON FOOT di Gus Van Sant (Concorso) – John Callahan all’età di 21 anni passa le giornate tra alcol e cazzeggio. Una sera è vittima di uno spaventoso incidente stradale che lo costringe, come quadiplegico, sulla sedia a rotelle per tutta la vita. Con l’aiuto di Annu (Rooney Mara) che gli resterà accanto per la vita e frequentando un gruppo di ex alcolisti, guidati da l’hippie Donny, scoprirà un talento di vignettista, dove sfogherà la sua ironia. Van Sant firma un biopic esente da qualsiasi patetismo, ricorrendo a un montaggio (dello stesso regista) a intarsio, che rilegge la vita con una sorprendente aderenza ai sentimenti cangianti. Joaquin Phoenix giganteggia, con esemplare sobrietà. Voto: 7.
VICTORY DAY di Sergei Loznitsa (Forum) – Il 9 maggio di ogni anno a Treptower Park, in Berlino, le persone vanno a commemorare la vittoria davanti al Soviet Memorial. Un’altra puntata del regista ucraino sul rapporto dell’umanità con la Storia, nella visita ai grani monumenti che la ricordano. Ma stavolta il respiro è un po’ debole, la deriva folkoristica prende il sopravvento e un po’ di ironia (sulle forze armate) non basta a dare potenza alle immagini. Si canta molto anche qui. Voto: 5.
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Il Gazzettino