Antoniozzi, la sua visione a 360 gradi: «Così Viterbo diventerà Capitale della Cultura»

Mercoledì 7 Febbraio 2024 di Cesare Bonifazi
Antoniozzi, la sua visione a 360 gradi: «Così Viterbo diventerà Capitale della Cultura»

Tanti fascicoli nella scrivania del vicesindaco di Viterbo e assessore alla Cultura.

Sfide che sono ambiziose e anche costose. Ma su questo punto, Alfonso Antoniozzi non ha dubbi: «La capacità di questa amministrazione di attrarre finanziamenti e di metterli a terra è dimostrata dai cantieri del Pnrr. La mia visione della Cultura in città vuole avere un respiro ampio, ben oltre il nostro mandato di Governo». Intanto però ci sono dei nodi da sciogliere, a partire dalla riapertura della biblioteca, da tempo parte di un consorzio insieme alla provincia. Il polo di piazza Verdi rimane comunque chiuso.

Assessore, come ha intenzione di intervenire? 
«Abbiamo il progetto elaborato dal commissario straordinario Paolo Pelliccia. L’amministrazione se ne è fatta carico e l’ha inserito nel piano triennale: si parla di 4 milioni che verranno finanziati attraverso il fondo Fesr. L’impegno prevede che tutto venga portato nell’asse che prende Palazzo Santoro, piazza Campoboio e il rudere in pietra che si trova adesso dietro alla sede dell’Inps. L’idea è creare un giardino e un corridoio di vetro che unisca i due edifici».

L’amministrazione già dall’anno scorso ha cominciato a prendere in considerazione la candidatura come Capitale della Cultura 2033 proponendo come tema principale il Medioevo. Come verrà declinato?
«La candidatura coinvolgerà tutti i membri dell’amministrazione, maggioranza e opposizione, perché è un progetto che comprenderà più ambiti. Dobbiamo capire come declinare il tema, passando anche dalle commissioni e dal consiglio. Si tratta di un percorso lungo quasi dieci anni e non è detto che saremo noi a portarlo a termine. Per questo vorrei che fosse un obiettivo culturale, non politico». 

Ma la sua idea qual è?
«Se fosse confermato il Medioevo, secondo me sarebbe necessario raccontarlo diversamente da come è stato percepito fino a oggi: un’epoca tetra. Non è vero che sono stati secoli bui: lì c’è stato il germe del Rinascimento. Vorrei raccontare il Medioevo per come era visto dalla gente dell’epoca. Basti pensare alle case: noi pensiamo che siano state tutte in pietra quando in realtà erano ricoperte di intonaci colorati. Per certi versi la nostra epoca ha dei punti di collegamento con il Medioevo».

In che senso, scusi?
«Malgrado la globalizzazione e il mondo aperto, stiamo vivendo un periodo storico nel quale invece si torna al locale, al territorio e in questo si innestano tematiche come il chilometro zero, il riciclo, l’agricoltura biologica. In questo senso mi piacerebbe che il progetto portasse un parallelismo. Le dico di più: la candidatura non è solamente viterbese».

Che intende?
«È un progetto su cui noi stiamo lavorando ma vogliamo coinvolgere anche le amministrazioni della provincia in modo che diventi la candidatura di “Viterbo e della Tuscia”. Come sta accadendo a Pesaro. Vorrei che si superasse la carenza di dialogo tra le realtà del territorio. Questo lavoro, che coinvolgerà anche associazioni di categoria, università ed enti, sarà un qualcosa che porterà un cambiamento, a prescindere dal risultato finale: porterà a un territorio più unito sul piano culturale».

La sua delega prevede anche la Film Commission. Malgrado Viterbo abbia ospitato set di rilevanza internazionale negli ultimi mesi, eppure il ruolo dell’amministrazione è stato solo di coordinamento...
«Esiste un ufficio Film Commission all’interno dell’assessorato ma che non è una vera e propria Film Commission: ovvero non intercetta fondi. Si occupa di dare supporto. È importante però pensare in prospettiva: il Comune continuerà a fare il Comune, mentre la vera Film Commission sarà un ente esterno, o un’associazione o una fondazione, che possa lavorare separatamente, dialogando con gli uffici regionali. Viterbo è una città ideale come set: è a poca distanza da Roma, le pratiche vengono smaltite con facilità, ha scorci che possano essere utilizzati per film importanti. Ma non è detto che dobbiamo metterci noi a fare i film».

A che serve allora avere una Film Commission?
«Il cinema e le serie in città portano indotto: alberghi, ristoranti, affitti. Purtroppo non portano ancora popolarità alla città: se andiamo al cinema e vediamo una scena girata a Viterbo, di solito rappresentata una città toscana oppure Roma o un altro luogo. Bisogna aspettare i titoli di coda per capire dove sono state fatte le riprese. Quindi le persone non vengono a Viterbo per vedere i posti delle riprese».

Eppure ci sono cittadine della Toscana che sono diventate iconiche proprio dopo alcuni set... 
«Per Viterbo è diverso. Le parlo di vent’anni fa: le persone si erano appassionate al maresciallo Rocca e venivano per cercare i luoghi della serie. Adesso sono sempre meno. Quello che dovrebbe fare la Film Commission è lavorare sulla promozione di questi set e creare hype intorno alla città».

Sempre parlando di cinema, come è possibile che una città capoluogo non abbia una sala in città?
«C’è il progetto da 7 milioni di euro per rimettere a posto il cinema Genio come centro congressi, e avrà anche una sala. Il problema è che il multisala di Vitorchiano ci impedisce di averne uno anche nel nostro territorio comunale, a causa della legge regionale che stabilisce le distanze dei cinema. Ho avuto anche delle conversazioni informali con degli operatori cinematografici ma non ho trovato un imprenditore disposto ad aprire una sala qua».

Com’è possibile?
«L’industria cinematografica non sta vivendo un buon momento: è un declino iniziato dalla pandemia. Sono cambiati anche i costumi: le persone non avevano in casa grandi schermi, come adesso. Quindi quella del cinema era un’esperienza. Infatti è rimasta prevalentemente nelle vecchie generazioni: i giovani non vanno molto al cinema. Ma mi fa piacere invece lanciare un appello: se ci fosse un imprenditore che volesse aprire un’attività cinematografica in città, il Comune è a disposizione, l’assessorato è disposto a prendere uno spazio e affidarlo».

Parlando invece di teatro, più volte ha citato il fatto che vorrebbe uscire dall’Atcl, pensa sia una giusta mossa?
«Non è un mistero per nessuno che per il teatro io avrei in mente una gestione diversa ma non credo che la soluzione sia uscire dall’Atcl».

Quindi?
«Atcl ce lo sta riempiendo di contenuti ma la mia idea è una fondazione che possa creare posti di lavoro: macchinisti, servizi di pulizie, amministrativi. La fondazione deve diventare un ente produttivo e non solo un ente ospitante, come è adesso L’Unione. Quindi vorrei che si creino produzioni nostre, di prosa o di altro, che possano essere anche esportate altrove in Italia. Questo è un lavoro che si può affiancare a quello di Atcl».

E nel frattempo che pensa alla fondazione, cosa ha intenzione di fare?
«Abbiamo dimostrato di aver dato una sterzata alla stagione teatrale. Siamo passati da un cartellone con spettacoli prevalentemente di intrattenimento ad avere Emma Dante e La Casa D’Argilla, che stanno ricevendo premi internazionali. Non è vero che la Cultura non muove il denaro, è invece un sistema a cascata non immediatamente visibile: se offriamo un cartellone di richiamo, le persone vengono da fuori e magari cenano in città, e se è tardi magari si fermano una notte. È importante che passi il concetto che viviamo in una società che si impressiona molto quando si fanno i “tutto esaurito” ma la missione di un amministratore pubblico è quella di dare un’offerta culturale. Se volessi riempire il teatro tutte le serate, faremmo i cinepanettoni».

Rispetto all’offerta culturale e al patto della notte, come intendete intervenire?
«C’è l’intenzione da parte di tutta la giunta di tornare a parlare con cittadini e esercenti sull’orario di chiusura dei locali. Personalmente sono d’accordo ad estenderlo. Tuttavia dobbiamo pensare a una forma di convivenza che tenga conto delle esigenze dei residenti ma anche del fatto che viviamo in un centro storico che deve dare offerta culturale, non solo ai giovani ma anche ai turisti. Inoltre, visto che i numeri degli iscritti all’università della Tuscia aumentano, è bene anche ripensare anche all’idea che vogliamo di città. Magari cercando di ispirarci a modelli come Siena o Bologna».

Ultimo aggiornamento: 8 Febbraio, 17:54 © RIPRODUZIONE RISERVATA