«Rilanciare Pop Vicenza?
Servono almeno 4 anni»

Sabato 23 Luglio 2016 di Maurizio Crema
Stefano Dolcetta, ex presidente della Popolare di Vicenza
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VICENZA - «Capisco le proteste, la gente è molto arrabbiata e ci sono casi personali che mi hanno colpito moltissimo e che bisogna fare di tutto per risolvere. Ma la questione Popolare Vicenza è molto più complessa di come la si pensa: difficile andare a dimostrare le responsabilità dei singoli. Se ne parliamo al bar è una cosa, ma in un’aula di tribunale è tutta un’altra: per varare l’azione di responsabilità verso i responsabili di questa crisi ci vorrà tempo e non è di certo una cosa immediata».

Stefano Dolcetta, 67 anni, da un paio di settimane non è più presidente della Popolare di Vicenza, carica che ha ricoperto dal 23 novembre 2015 al 7 luglio 2016, poco più di sette mesi che per la banca e per 120mila vecchi azionisti polverizzati a 10 centesimi sono sembrati un’era.

Dottor Dolcetta, pentito di aver accettato la nomina di presidente di Popolare Vicenza al posto di Gianni Zonin?
«No, è stata un’esperienza fondamentale dal punto di vista umano e professionale. Difficile, faticosa, pesante, ma sicuramente unica».

Rifarebbe tutto? Nessuna recriminazione?
« È stato certamente un periodo intenso, se uno non le vive dall’interno certe situazioni non può capire la complessità del compito. In assemblea e negli incontri con i soci nel territorio poi mi sono reso conto appieno del grande disagio dei soci».

Nessuna critica al passato cda?
«Di sicuro se il cda passato avesse avviato l’azione di responsabilità ne sarebbe uscito meglio. Poi è arrivato Atlante e ha preso in mano la cosa come è giusto».

Si è mai sentito solo in quel cda che era dominato da persone nominate da Zonin?
«All’inizio sì, poi via via sono riuscito a inserirmi, sono arrivati altri consiglieri, alla fine eravamo 9 nuovi e 9 della vecchia gestione».

Finalmente eravate in parità?
Finalmente eravamo in parità. Ma devo dire che tutto il cda si è mosso in maniera unita e compatta per raggiungere gli obiettivi dell’aumento di capitale da 1,5 miliardi, la quotazione in Borsa e la trasformazione in Spa».

Già, la Borsa: pensavate veramente di quotarvi?
«Devo dire che in novembre e dicembre c’era una grande convinzione di farcela, il progetto era credibile. Poi è arrivata la crisi dei mercati e le cose si sono complicate.».

È vero che c’erano delle offerte di fondi americani?
«L’amministratore delegato aveva avuto contatti in Usa, di più non so».

La garanzia di Unicredit era blindata?
«Iorio assicura di sì. Infatti poi è dovuto intervenire Atlante per sollevare Unicredit».

Con Atlante ogni altro pretendente si è volatilizzato, un po’ come è accaduto per Veneto Banca. Non le sembra che tutto fosse già definito? In Veneto si parla molto di manovra preconfezionata per salvare Mps.
«È una sensazione che può venire. Come diceva Andreotti, pensar male è peccato ma molte volte c’azzecchi. Ma bisogna anche dire che se vuoi stare sul mercato oggi devi essere molto efficiente, ed efficiente su tutto. E forse Popolare Vicenza non era così efficiente, troppi costi, non brillava come redditività, troppi sportelli. Il mercato oggi è spietato. Ma è anche nell’ordine delle cose che chi investe così tanto come Atlante voglia avere tute le leve di comando, anche perché la sfida che ha davanti è complessa: ci vorrà tempo per far ritornare Popolare Vicenza a livelli accettabili, non meno di 4 anni».

Per i vecchi soci danneggiati che si può fare subito?
«Spero che si aprano presto i tavoli di concertazione e che si possa utilizzare un fondo, gestito da soggetti esterni, che possa essere utilizzato per gli indigenti, per risolvere i problemi sociali creati da questa crisi. E poi c’è da risolvere il problema degli scavalcati: di chi voleva vendere le sue azioni ma è stato superato da qualcun altro arrivato dopo».

Sorpreso dai furbetti dello scavalco? E che dice dei finanziamenti baciati, cioè i prestiti della banca per far comprare sue azioni, arrivati a quota 1,2 miliardi e passa?
«Non avrei mai pensato che si arrivasse a questi livelli. Ma poi si è visto che i finanziamenti baciati non erano un’esclusiva di Popolare Vicenza, mi sembra una pratica più diffusa di quel che si pensasse».

Ritornando a bomba: perché il vecchio cda non ha avviato l’azione di responsabilità contro i responsabili di questo disastro da 1,4 miliardi di perdite solo nel 2015 con sei miliardi di risparmi bruciati in poco più di un anno con le azioni passate da 62,5 euro a 10 centesimi?
«Io nell’assemblea del 26 marzo avevo chiesto ai soci di evitare l’azione di responsabilità in quel preciso momento: c’era l’aumento di capitale, dovevamo andare in Borsa. Quell’astensione del 26 marzo in assemblea è stata comunque strumentalizzata: non c’era stato nessun boicottaggio, ho lasciato parlare tutti. Ho anche proposto di votare la delibera, tenendo ben presente che la responsabilità deve essere singola, individuale e accertata. Ma mi ero anche impegnato con i soci ad avviare l’iter dell’azione successivamente all’Assemblea. Infatti ho portato in cda la proposta di nominare un legale indipendente, da scegliere tra tre nominativi, che valutasse gli eventuali profili di responsabilità. Nelle more delle discussioni in Consiglio di questi argomenti è intervenuto il Fondo Atlante, che ha preso il 99% e passa della banca e il presidente Alessandro Penati, come è giusto che sia, mi ha chiesto di occuparmi solo dell’ordinaria amministrazione. In ogni caso ha ragione il mio successore Gianni Mion: non si può appendere la gente al pennone più alto della nave. Io sono garantista: bisogna dare a ognuno la possibilità di difendersi».

Il consigliere delegato Iorio ha accusato: Popolare Vicenza ha dato tanti prestiti alle imprese del territorio ma in cambio ha avuto pochi depositi. Perché?
«A essere cinici, se allora la banca fosse stata meno larga oggi starebbe meglio, ma avrebbe messo in crisi un’economia. L’arrivo del bail-in poi ha spaventato molto i risparmiatori, che hanno prelevato molti soldi dai depositi, ma oggi mi sembra che questa crisi sia rientrata».

Lei ha parlato di troppi costi, scarsa redditività. Da imprenditore: dove Gianni Zonin e gli altri dei cda passati hanno sbagliato strategia?
«Questa era una banca del territorio da 100-200 sportelli, poi ha iniziato a crescere moltissimo diventando il decimo istituto italiano; forse non si è attrezzata per gestire le nuove sfide dovute alla sua dimensione. Nè nessuno gliel’ha imposto».

Banca d’Italia non ha fatto il suo dovere?
«Quando sono diventato Presidente la Banca era già controllata dalla BCE. Con BCE sono cambiate per tutto il sistema alcune regole circa le modalità dell’azione di vigilanza, in particolare requisiti più stringenti per gli Amministratori e una richiesta di maggiore capitalizzazione del sistema bancario italiano.

Fondazione Roi: le è stata offerta la presidenza?
«Non mi interessa fare il presidente, quello è un ruolo per una persona che si occupa di cultura. Se posso darò una mano, come darò una mano alla banca: ho consegnato la relazione sul mio mandato alla Bce, che mi ha fatto i complimenti, e al mio successore Mion. Certo, se in una mia azienda un cda avesse presentato un bilancio con 24 milioni di perdite quel consiglio sarebbe già a casa. Non si può investire il 25% del tuo patrimonio in un unico prodotto, come hanno fatto con le azioni di Popolare Vicenza».
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