Selfieterapia e un'app specifica nella cura psicologica degli adolescenti

Venerdì 10 Marzo 2017 di Maria Elena Mancuso
Selfieterapia e app per aiutare gli adolescenti in difficolta' nel reparto del dottor Brazzale
BASSANO - Inutile negarlo, quella da smartphone e tablet è ormai una vera e propria dipendenza. Una mania che non risparmia davvero nessuno, specialmente tra i più giovani. Ma se gli studiosi cominciano a definire il fenomeno alla stregua di una vera e propria malattia, esiste chi, tra loro, ha pensato di utilizzare le nuove tecnologie come strumento, se non di cura, quantomeno di prevenzione.

Una sorta di “selfieterapia” e addirittura un’app, con la quale i ragazzi potranno avere informazioni, fare autodiagnosi e cercare aiuto per affrontare disagi psicologici, dipendenze e problemi legati alla sessualità.
Il progetto nasce e si sviluppa grazie al lavoro degli psicologi del Centro adolescenza dell’Ulss di Bassano, una struttura, guidata dal dottor Ruggero Brazzale, che dal 2014 lavora per contrastare il disagio giovanile.
Una vera e propria task force di psicologi che, in accordo con altre realtà sanitarie e del territorio, si occupa per lo più di fare prevenzione, evitando che le normali fragilità degli adolescenti diventino patologie.
Nasce così il progetto “One self image”, partito lo scorso anno con una sperimentazione dagli esiti davvero incoraggianti.

«Un progetto pilota - spiega il dottor Brazzale - Che ha coinvolto diciotto ragazzi tra i 12 e i 21 anni. Incontri di gruppo e poi “videoterapia”. Seduti di fronte a un tablet che registrava la propria immagine, mentre uno psicologo, fuori campo, li guidava in questo particolare confronto. I ragazzi erano invitati a osservarsi e a esprimere dei giudizi, andando oltre il mero aspetto fisico. Ed è incredibile quanti di loro, a primo impatto, non riuscissero a sostenere il proprio sguardo. Perché scattare selfie da postare sui social network non ha nulla a che vedere con il guardarsi dentro. Ed è così che i ragazzi lo hanno scoperto». Un percorso per valorizzare e rafforzare la personalità di questi nativi digitali, che non hanno più una comunità reale su cui fare affidamento. 

«Nell’ottobre scorso i risultati del progetto pilota sono stati presentati a Milano, durante un convegno mondiale sul disagio giovanile. Per la prima volta la tecnologia è usata come strumento di prevenzione e non per cercare di curare patologie già conclamate. E questo ha suscitando grande interesse nel mondo scientifico. Si sta lavorando quindi per dare il via ad una sperimentazione molto più ampia. Un progetto da due milioni e mezzo di euro, totalmente finanziato dall’Unione Europea, che dovrebbe coinvolgere cinque Paesi: Italia, Germania, Francia, Spagna e Romania. Inoltre abbiamo già dei contatti con diverse realtà statunitensi e un articolo scientifico sulla nostra sperimentazione sarà pubblicato a breve su “Adolescent psychiatry”, una delle più importanti riviste di settore, dell’università di Harvard. Parallelamente stiamo anche sviluppando un’applicazione da scaricare sugli smartphone, la prima di questo genere, che permetterebbe ai ragazzi di fare un’autodiagnosi delle proprie difficoltà. Di ricevere aiuto e informazioni e infine di ottenere un primo appuntamento telefonico anonimo con uno specialista. È risaputo che gli adolescenti difficilmente parlano dei propri problemi con familiari e adulti. Finiscono così per rintanarsi ancora di più nel loro mondo digitale, alla ricerca di risposte, spesso inadeguate. Si rivela quindi fondamentale usare i loro stessi strumenti e trovare un nuovo modo per permettergli di affrontare questo mondo, che diventa ogni giorno sempre più complesso».
Ultimo aggiornamento: 19:43 © RIPRODUZIONE RISERVATA

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