Riparte la via della seta italiana:
bachicoltura e rete d'imprese

Mercoledì 25 Maggio 2016 di Maria Elena Mancuso
Bachi da seta banchettano con delle foglie di gelsi

CARTIGLIANO/NOVE - C’era una volta, anche in Italia, la via della seta. Potrebbe cominciare così questa storia, questa favola che racconta di glorie passate e di nuove eccellenze a trenta ragazzi dell’istituto tecnico Viola Marchesini di Rovigo. Un viaggio su quell’antica via che oggi torna a rinascere e che ha portato questi studenti sino a Cartigliano, nella seicentesca villa Cappello Morosini, sede del municipio e di un prezioso allevamento di bachi da seta. Prezioso come il ritorno alla tradizione che ha visto su queste terre nascere e prosperare la produzione di seta fin dai tempi della Serenissima, sino al secondo dopoguerra, quando lo sfruttamento delle risorse naturali e della manodopera, portarono la bachicoltura al declino e poi alla completa scomparsa.

Oggi, grazie all’intuizione e allo spirito imprenditoriale dei coniugi Daniela Raccanello e Giampietro Zonta dell’azienda orafa D’Orica di Nove, la favola della seta torna a rivivere. E lo fa con una connotazione nuova, votata all’etica, al biologico, al rispetto dell’ambiente e dei lavoratori. Un progetto che unisce ricerca, agricoltura, lavoro artigianale e tecnologia, tutto made in Italy. Un’idea innovativa che ha ricevuto lo scorso aprile a Bruxelles un importante riconoscimento come modello di riferimento per i progetti di ricerca e innovazione che verranno emanati in futuro dalla Commissione Europea.

La filiera prende corpo

 

Tutto ha inizio nell’estate del 2014, racconta Zonta ai ragazzi riuniti nella sala conferenze di villa Morosini. «È Daniela l’anima creativa dell’azienda. Sua l’idea di realizzare un gioiello unendo oro e filato. Ma il cashmere del prototipo realizzato in prima persona, non la convinceva del tutto. Le venne così l’idea di affiancare al più prezioso dei metalli, il più prezioso dei filati: la seta. Ma una seta italiana, però, in modo da continuare nel solco di quella che è sempre stata la nostra filosofia. Abbiamo scoperto così che la seta italiana, una materia prima tra le pochissime del nostro Paese, si era “estinta” più di quarant’anni fa, a causa dei pesticidi e di un’epidemia letale per i bachi».

Da lì al Crea-Api di Padova, per i coniugi Zonta il passo è stato breve. È questo centro, infatti, l’ente di riferimento italiano per la ricerca in apicoltura e bachicoltura. L’unico in tutta Europa ad aver preservato circa 200 razze di baco che oggi non vivono più allo stato selvatico. Ed è stato proprio quest’ente la prima tappa della filiera visitata dagli studenti di Rovigo, oltre all’allevamento di Cartigliano e allo storico laboratorio di tessitura di Renata Bonfanti a Mussolente.

«Trovati i bachi, ci siamo dati da fare per capire come rimettere in sesto le condizioni di questa preziosa risorsa e nell’ottobre del 2014 è nata “La Rinascita della Via della Seta”. Una rete d’imprese che collabora in sinergia per la realizzazione di una filiera della seta italiana, rispettosa dell’ambiente e del lavoro. Nella speranza che dal Veneto, dove quasi cinquant’anni fa si chiuse l’ultima filanda del Paese, si riesca a dare oggi nuovo impulso all’industria serica italiana. Un’economia circolare, in cui cioè non ci sono scarti di produzione, e che trova impieghi non solo nel settore della moda, ma anche nella cosmesi e nella biomedica, che sfrutta le incredibili proprietà antibatteriche della seta, per realizzare garze, fili di sutura e, addirittura, protesi vascolari».

Impossibile, ovviamente, competere con il colosso Cina, da sempre custode e maggiore produttore delle sete più preziose. Ma anche lì, a causa della forte industrializzazione, il settore sembra essere in crisi. Si aprono così nuove prospettive per questo progetto che comincia a crescere e coinvolgere, tra l’entusiasmo e l’attenzione generale, tanti attori del territorio. Ne è un esempio l’allevamento, gestito da volontari e coordinato dall’assessore Giancarlo Gerardin, nato lo scorso anno nelle barchessa nord di villa Morosini a Cartigliano. Qui si è deciso di puntare con decisione sulla seta per farne, ancora una volta come in passato, un vanto del territorio. Sul tavolo un progetto da due milioni e trecento mila euro presentato alla Soprintendenza dei Beni Culturali, che prevede il restauro della barchessa nord e la realizzazione al suo interno, di un museo e di un’intera filiera di produzione della seta.
Ma questa è un’altra storia, un’altra favola nata su quella via della seta, che si spera di poter raccontare al più presto.

Ultimo aggiornamento: 14:26 © RIPRODUZIONE RISERVATA